14/11/2011
Una manifestazione contro Assad al Cairo (Egitto).
Mentre i dotti si dilungano sulla Primavera araba e sui rischi
dell’estremismo islamico, l’estremismo laico del regime di Assad
continua a far strage di siriani. Nel silenzio ovviamente dei
dotti, che non possono preoccuparsi di questioni così banali. Anche se
in Siria, per dire, tra le migliaia di vittime della repressione, ci sono
molti cristiani, che sono circa il 10% dei 22,5 milioni di siriani.
Non è difficile capire perché questo accada. La Siria di
Assad, così com’è, fa comodo a molti. A Israele, che ha in
Assad un nemico impotente e incapace di nuocere, ma pur sempre un nemico
da vantare nel palmarés. Alla Giordania, che teme il contagio della
protesta. Agli Usa, che hanno ben altre gatte da pelare. Alla Russia,
che nell’attuale regime ha un alleato nell’area. Per quel che conta
anche al Libano, dove Hezbollah non può dimenticare gli storici rapporti
(e complicità) con i “servizi” di Assad e dove comunque l’equilibrio
etnico e religioso è fragile. Per non parlare dell’Arabia
Saudita (che ha stroncato con le armi le proteste in casa
propria e in Bahrein), dell’Iraq (anche lì, equilibrii di cristallo) e
dell’Iran, dove la contestazione cova sempre sotto la cenere.
Inoltre, la Siria non dispone di risorse energetiche né di
particolari ricchezze naturali. Che sono invece la causa
principale di tutte le ultime guerre: nei Balcani, dove la fine di
Milosevic ha spalancato la strada ai gasdotti in arrivo dall’Asia
Centrale, in Iraq e in Libia. Se ci fosse un po’ di petrolio da
spartirsi, Assad sarebbe già uscito di scena.
A dispetto di tutto questo, però, lasciare un tale margine di
manovra agli stragisti siriani è un grosso errore. E non solo
per le evidenti ragioni umanitarie e di principio. Assad è esponente
della minoranza alawita e la protesta è generate soprattutto dagli
ambienti della maggioranza sunnita, che stanno particolarmente a cuore alla
vicina Turchia. La quale viene di giorno in giorno trascinata
nel problema siriano anche da un altro fattore: l’appoggio che la Siria
da molto tempo offre all’ala militare e terroristica del movimento
indipendentista curdo, in cui la fazione filo-siriana è dominante.
Gli effetti si sono visti qualche settimana fa. I
curdi filo-siriani attaccano e fanno un massacro di soldati turchi. La
Turchia reagisce (e ancora reagirà, questo è certo) anche sconfinando in
Iraq. Nel frattempo il Mit (servizi segreti turchi) aumenta la sua
collaborazione con i gruppi organizzati degli insorti siriani. Vale
la pena ricordare che la Turchia è nella Nato, ha il secondo
esercito dell’alleanza (oltre un milione di uomini) dopo quello Usa, una
posizione strategica fondamentale e un’economia in forte crescita da
anni. Il premier Erdogan, inoltre, è oggi l’unico
leader politico del Medio Oriente a godere di una vasta e solida
credibilità nel mondo islamico. Irritare lui per salvare Assad mi pare
un pessimo scambio. Tollerare le stragi in Siria, quindi, non
contribuisce a “calmare” la situazione della regione ma, al contrario, a
renderla più instabile.
C’è, infine, un’ultima considerazione. A dispetto del tributo
di sangue, le proteste in Siria non si placano. Può darsi che
Assad riesca a stare in sella, ma i suoi oppositori non paiono meno
tenaci. Se Assad dovesse cadere, quali ragioni avrebbe la “nuova” Siria
per sentirsi benevola verso chi l’ha lasciata così tanto soffrire?
Fulvio Scaglione