Africa, la grande rapina dell'oro blu

Dal "land grabbing", la terra strappata da governi e multinazionali alle economie locali, al "water grabbing", la sottrazione dell'acqua. E così continua lo sfruttamento dei più poveri.

Coltivazioni straniere su ampia scala che lasciano a secco quelle dei residenti

10/02/2013
Una donna torna a casa senz'acqua per limiti nell'approvvigionamento a Katmandu, nel Nepal (Reuters)
Una donna torna a casa senz'acqua per limiti nell'approvvigionamento a Katmandu, nel Nepal (Reuters)

Pubblicato dal prestigioso Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, questo studio sul "water grabbing" è stato realizzato da tre ingegneri idraulici italiani, Maria Cristina Rulli e Antonio Saviori del Politecnico di Milano, e Paolo D'Odorico, "cervello in fuga" di stanza ormai da anni all'University of Virginia. «In questo momento l’acqua non manca, ma occorre dare maggiore sostenibilità al suo utilizzo», avverte Rulli. In pratica, non si può continuare a sfruttare risorse senza migliorare, in cambio, le economie locali: con coltivazioni straniere su ampia scala che lasciano a secco quelle dei residenti, il rischio di tensione sociale è altissimo, specie in Africa. Un esempio? Il Sudan, dove gli investimenti diretti occupano gran parte del bacino del Nilo, sottraendo al territorio una quantità d'acqua pro capite che basterebbe a garantire la sicurezza alimentare. Invece, il Paese ha un alto livello di malnutrizione benché risulti, proprio per effetto del "land grabbing", un grande esportatore di prodotti agricoli.

Laura Ferriccioli
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