10/02/2013
Ragazzi tornano al loro villaggio con l'acqua a Dhusamareeb, nel centro della Somalia (Reuters).
Negli ultimi quattro anni, il numero di terreni esteri acquistati da governi e multinazionali per produrre cibo e carburanti ha avuto un'impennata con l’accentuarsi del cambiamento climatico e a causa delle nuove abitudini alimentari di milioni di cinesi e indiani. Pechino, da sola ha acquisito più di tre milioni di ettari in diverse aree del mondo, di cui ben 2,8 nella Repubblica Democratica del Congo. Un Paese, quest'ultimo, tra i più gettonati insieme a Indonesia, Filippine, Sudan e Australia. Ma l'allarme suona ovunque, e non solo per la quantità di terra "arraffata" (il cosiddetto “land grabbing“, “sgraffignare terreni“, per via delle operazioni commerciali poco trasparenti). Il fenomeno riguarda anche l'acqua, la sottrazione del cosiddetto "oro blu", che in questo caso prende il nome di "water grabbing". Di recente, infatti, è stato calcolato su scala mondiale l'impatto di questo neocolonialismo sulle risorse idriche, con un risultato impressionante: per coltivare 47 milioni di ettari, pari al 90% delle terre acquisite globalmente, servono 454 miliardi di metri cubi all'anno. Più di dodici volte il Lago Maggiore.
Laura Ferriccioli