25/08/2012
Ibrahimovic, il più famoso straniero che saluta il nostro campionato (foto Ansa)
Per la serie: provincialismo all’italiana. Campionato più povero, nazionale non più ricca. Limite agli extracomunitari, dopo il Mondiale sudafricano: per uno che usciva di scena solo un altro poteva fare il suo ingresso, non più due come accadeva prima del disastro sudafricano. Incassata la delusione, trovata la formula. Sempre all’italiana, naturalmente.
Norme poi abolite: la prima dopo anni di autarchia, la seconda dopo una sola stagione.
Norme con un unico obiettivo: limitare gli stranieri quando il calcio italiano non produce talenti autoctoni in grado di garantire risultati e visibilità. Che, poi, non sempre è vero. Un anno fa, record storico per gli stranieri in Italia: numeri mai visti prima. Eppure l’Italia di Prandelli, con un bel po’ di forze fresche in campo, ha fatto la sua bella figura.
E allora magari gli stranieri sono un problema, ma solo a metà. Certo, sono tanti. Il paragone con il passato remoto non è neanche proponibile: la legge Bosman ha cambiato le carte in tavola, la libera circolazione ha decuplicato il numero di calciatori stranieri in Italia. Resta un dato: l’anno scorso s’è raggiunto il top, in fatto di numeri. Basti pensare al numero totale, nel calcio italiano: 1.195, una marea di giocatori importati.
Manco a dirlo, trend crescente, soprattutto ai massimi livelli, quelli della serie A: 362 per una percentuale pari al 47,82 per cento, quasi al metà del totale, come mai era accaduto prima. Un anno prima si era attestati al 43,71, nella stagione 2009-2010 al 40,11, nel 2008-2009 al 37,94, nell’annata 2007-2008 al 38,72. In sostanza, quasi il 10 per cento in soli 5 anni. Senza dimenticare un altro elemento, altrettanto (se non più) significativo: ad analizzare i minuti giocati, si scopre che i calciatori d’importazione hanno giocato più degli italiani (il 52 per cento del totale contro il 48), altro primato storico battuto nella passata stagione.
L’autarchia non abita più qui. Un tempo c’erano le classiche eccezioni, quelle che confermano la regola. Ora sugli stranieri, per un motivo o per l’altro, ci puntano un po’ tutti. Naturalmente, con qualche differenza, spesso sostanziale nei numeri.
Tra le squadre di A più straniere spicca l’Udinese, che sui calciatori importati ha fondato un’autentica fortuna, grazie a un sistema capillare di reclutamento che consente al club friulano di acquistare giocatori a prezzo contenuto per poi rivenderli con sostanziosi guadagni. L’anno scorso, l’Udinese ha schierato il 65,71 per cento di calciatori stranieri, tanto da essere il club più esterofilo, davanti alla Lazio (63,16), al Palermo (58,54) e al Genoa (55,26). Sul fronte opposto, invece, comandava il Siena, la squadra più italiana della serie A con una percentuale di stranieri pari al 25 per cento, seguita dall'Atalanta (34,29) e dalla Juventus, che ha vinto lo scudetto schierando il 38 per cento di stranieri.
Quanto alla stagione che sta per cominciare, impossibile tirare le somme. Alla chiusura del mercato mancano ancora un bel po’ di giorni, solo allora si potranno dare i numeri per capire se il trend è confermato e le percentuali destinate a lievitare. Un dato, comunque, è già sicuro: una nuova colonia di stranieri è già sbarcata lungo il porto della serie A.
Con qualche differenza rispetto al passato, in nome del risparmio. Niente più top-player (termine molto in voga, dalle nostre parti) in arrivo dall’estero, anzi sono sempre più quelli che dopo aver assaggiato il nostro calcio vanno a cercare fortuna (e quattrini) altrove.
Samuel Eto’0 aveva inaugurato il nuovo trend, quest’anno l’Italia del calcio ha salutato campioni del calibro di Ibrahimovic, Lavezzi e Thiago Silva. Tra autentiche rivoluzioni (la Fiorentina smantellata e ricostruita è molto basata sui nuovi stranieri), altre comunque sostanziali (la Roma, ad esempio), un bel po’ di giovani e alcune autentiche scommesse, si dovrebbe arrivare a ben più di 50 nuovi stranieri (altri, però, sono partiti). E l’invasione continua.
Ivo Romano