23/07/2012
L'esultanza di Valentina Vezzali. (foto Ansa)
Siamo un popolo di santi e navigatori,
ma, tempi andati dell’esercito romano
a parte, di guerrieri solo per necessità.
Le missioni di pace, lo dicono gli
stranieri, ci vanno più a genio delle
missioni di guerra. Lo dicono nel bene:
elogiando le forze armate italiane
per il loro ruolo nella cooperazione.
Però quando si tratta di sport il
mestiere delle armi è mestiere nostro
(e non solo perché le forze armate
spesso danno di che vivere al nostro
sport). Semplicemente ci sta più
simpatico quando si tratta di uccidere
con una fucilata un piattello che sbuffa
polvere gialla e fucsia. Chiara Cainero
e Giovanni Pellielo a Pechino quattro
anni fa non hanno tremato nemmeno
sotto una pioggia che accecava lo
sguardo. Jessica Rossi è poco più che
una ragazzina, ma dalla fossa tira come
un cecchino.
Jessica Rossi, rivelazione del tiro a volo. (foto Ansa)
Medaglie preziose, chissà
se capaci di esaudire le 25 auspicate
dal presidente del Coni, verranno
certamente dalle armi bianche, le
nostre preferite, quelle che nella storia
olimpica sono per noi una certezza
nei secoli fedele, che dei duelli veri
conserva soltanto il clangore del ferro
e un certo formalismo figlio del diritto
antico che li contemplava come mezzo,
quello sì all’ultimo sangue, di dirimere
le controversie. Le nostre squadre
di fioretto sono accreditate dei primi
posti in classifica mondiale. Ma anche
spadisti e sciabolatori hanno crediti
di peso e storie spesse di risultati.
E non è raro che le dispute per il
podio olimpico si giochino in casa, tra
compagni d’allenamento se non proprio
di stanza: non sarebbe neanche
peregrino, visti i valori sulla carta,
che Valentina Vezzali, portabandiera,
se la veda con Elisa Di Francisca, che
Cassarà si giochi la medaglia contro
Aspromonte, Avola o Baldini. Va bene
al resto del mondo che non siano
previste squadre miste, con duelli
stile Tancredi e Clorinda.
Il destro di Roberto Cammarelle, medaglia d'oro nei pesi massimi ai Giochi di Pechino 2008. (foto Ansa)
Però in fatto di duelli virtuali, come
sempre sono quelli dello sport,
potremmo fare anche il bel gesto di
lasciar scegliere l’arma all’avversario:
vantiamo tiratori scelti con la pistola
del tiro a segno (a Londra con Niccolò
Campriani) e con l’arco (Natalia
Valeeva, Marco Galiazzo, Michele
Frangilli e Mauro Nespoli), dove
non si scende dal podio dal 1996.
In mancanza d’armi, non siamo male
neanche con le mani, contro i giganti.
A Pechino abbiamo avuto tre medaglie
dal pugilato: con Roberto Cammarelle,
Clemente Russo e Vincenzo Picardi.
Sono tutti di nuovo in squadra
e si vedrà. Ci siamo stati, con meno
assiduità, anche nella lotta, nei
lontanissimi anni Ottanta del
minuscolo Vincenzino Maenza e
quattro anni fa con il colosso Andrea
Minguzzi, ma stavolta non ha staccato
il pass: su quel fronte siamo una
sporadica, benché gloriosa, presenza
di raro Occidente, in un mondo
dominato dal povero e profondo Est
dell’Asia centrale. Del resto anche
l’oro di Pechino brillava di più perché
inatteso. Quest’anno lotta per tutti
noi solo Daigoro Simoncini, uno che ha
un nome da paladino d’Orlando.
Elisa Chiari