23/07/2012
Dorando Pietri. (foto Ansa)
Forse l’idea non piacerà a Parigi rivale
di Londra nella candidatura 2012
e detentrice con il barone de Coubertin
del brevetto dell’Olimpiade moderna,
ma se c’è un luogo in cui soffia lo spirito
olimpico, versione a cinque cerchi della
cortesia, quel luogo è Londra, l’unica
sede prescelta tre volte. Da Londra passa
alla storia la più antica icona olimpica
dopo Fidippide, inventore suo malgrado
della maratona al tempo della Grecia
classica. Quell’icona è Dorando Pietri: idea
platonica della sconfitta epica, ma anche
della gloria imperitura a risarcimento.
Arrivò primo nella maratona di Londra
1908, con minuti di vantaggio. Non
bastarono, barcollò a pochi metri dal
traguardo. Chi lo sorresse ne decretò
la morte atletica: squalificato. Vincente
e squalificato. Conan Doyle era in tribuna
e lo raccontò, la regina Alessandra si
impietosì e volle premiarlo con una coppa
d’argento. Col risultato che nessuno
ricorda più Hayes, il vincitore, mentre
i baffi all’insù del pasticciere di Carpi,
gambe storte da italiano d’altri tempi in
gita, sono l’immagine inestinguibile dello
spirito olimpico che respira. Mai stato
più vero di così che partecipare contasse
più che vincere.
Steve Redgrave in veste di tedoforo. (foto Ansa)
Ma Londra è spirito
che soffia anche in altri modi: nel 1948
sbarcò sul Tamigi la prima Olimpiade
del dopoguerra, e lì si concepì, anche se
all’inizio le sedi erano diverse, la prima
Paralimpiade della storia, pensata
dapprima più che altro come strumento
riabilitativo per chi in guerra aveva
lasciato pezzi di corpo e d’anima, ma
destinata a diventare negli anni quello
che ora è: sport, agonismo puro, voglia
di vincere. Che importa se con un senso,
una gamba, un braccio in meno: conta
lo spirito. Sarà un caso che proprio per
Londra si sia qualificato Oscar Pistorius,
primo amputato in corsa con i
normodotati? Forse c’entra qualcosa
“Il Redgrave”, che non è – come dicono
gli annali – Steve Redgrave, il canottiere
inglese che ha vinto cinque ori in cinque
edizioni, cioè sì lo è, ma è soprattutto
una categoria dello spirito, come vuole
Simone Barnes autore di The Meaning
of sport (il significato dello sport):
«Redgrave non è solo una persona è
anche una qualità. In ogni grande
momento dello sport», scrive Barnes,
«l’atleta che lo affronta deve avere dentro
un po’ di Redgrave. Scelgo di vincere o di
non vincere? La qualità di Redgrave è la
parte di te che non accetta compromessi:
la parte che ti porta per primo oltre
il traguardo, dopo aver già dato tutto ciò
che credevi di avere. Non ha a che fare
con il corpo, c’entra la mente. Quando un
atleta ovunque nel mondo vince qualcosa
in qualunque sport dovrebbe pagare
i diritti a Steve Redgrave». Se lo spirito
olimpico esiste, soffia sotto il Big Ben.
Elisa Chiari