18/04/2013
Monsignor Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente della Caritas italiana.
«Un magistero vissuto, gesti semplici, parole disarmanti». Per monsignor Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente di Caritas italiana, papa Francesco «ha dato un segno molto positivo che noi della Caritas, ma un po' tutta la gente, ha colto immediatamente. Il lascito di papa Benedetto, il motu proprio, il messaggio per la Quaresima (priorità alla fede, primato alla carità), le encicliche sulla carità trovano nell’atteggiamento del Papa, nella simpatia, nel carattere popolare della sua attenzione agli altri un punto di partenza, di sintonia, che senz’altro la nostra gente coglie in modo molto positivo».
Pensa che ci sarà una visita alla Caritas?
«Certamente avrà modo di dare qualche indicazione precisa e specifica. Comunque finora il suo atteggiamento, ripeto, il suo magistero vissuto ha creato condizioni di accoglienza, di simpatia, di accompagnamento in particolare per l’attenzione alla gente, per il riferimento alla misericordia, al combattere il male con il bene, la fratellanza, l’unità, la capacità di vivere di speranza e di gioia nonostante i vari drammi in cui ciascuno è inserito».
Questo è il primo convegno senza monsignor Nervo, il vostro fondatore...
«Sì. Nervo era venuto a Fiuggi in occasione del convegno del quarantesimo della nascita della Caritas e dell’udienza a Roma per l’udienza con Benedetto. C’era Nervo, c’erano Pasini, tutti i direttori precedenti questi anni ed è stato una bella occasione perché Nervo ci ha dato un’ulteriore testimonianza di grande serenità, ma anche di grande chiarezza con la capacità di indicare una visione generale in cui l’attenzione, la dedizione agli altri a partire dai poveri vanno tradotti non solo in parole e gesti fatti uno dietro l’altro, ma in una prospettiva di fondo capace di cambiare il modo con cui la Chiesa stessa sta dentro il rapporto con gli altri proprio a partire da questa dedizione nei confronti degli ultimi, dei poveri, degli emarginati».
Quale messaggio arriva da questo convegno alla Chiesa?
«Per quanto riguarda la famiglia ecclesiale va sottolineato questo
raccordo tra la fede e la carità che in tutte le relazioni - quella di
Bruno Forte, quella di Becchetti, le testimonianze di oggi – e in tutti i
lavori di gruppo è emerso, questa capacità di sentire la fede come un
punto di partenza. Anche monsignor Dumas parlava di prossimità nei
confronti degli altri. Una prossimità che sia verticale che orizzontale:
l’incontro con il Signore per essere in grado di spendersi per gli
altri. Per la vita ecclesiale vorremmo che arrivasse questo elemento:
rapporto personale e comunitario con il Signore per essere in grado di
spendere la vita per gli altri».
E per la società?
«Per la società civile, nel rispetto delle distinzioni, noi portiamo
questa testimonianza. Nella mia prolusione ai lavori ho insistito sulla
nostra capacità, attitudine, impegno, possibilità di fare delle proposte
credibili, per rendere una testimonianza autentica, per dire cose
pensate e fondate accompagnate da quelle che noi chiamiamo opere-segno.
Ci crediamo a tal punto, nelle cose che diciamo, da dare origine a delle
opere che traducono nel concreto le convinzioni di fondo che abbiamo.
Se nella Chiesa offriamo una prospettiva che accompagni, aiuti, orienti
il cammino delle comunità, per la società civile diamo una testimonianza
che offra valori, convinzioni, opere segno, in modo che, nella libertà
della vita democratica, ciascuno si senta aiutato a pensare e a
orientarsi nel civile verso una prospettiva che, secondo noi, dà senso e
contenuto anche al bene comune».
Annachiara Valle