«Fratelli Rom», firmato il vescovo

Torino: monsignor Cesare Nosiglia scrive una lettera pastorale dedicata ai nomadi. Di loro si occupò molto, a Roma, anche don Luigi Di Liegro sulla cui figura è uscito un libro.

Carità e giustizia: don Luigi Di Liegro

03/11/2012
Don Luigi Di Liegro in un'immagine d'archivio.
Don Luigi Di Liegro in un'immagine d'archivio.

Niente di nuovo sotto il sole. Cambiano le giunte e i Governi, ma un filo conduttore si stende tra il passato e il presente. Un filo che si chiama razzismo e che colpisce, in primo luogo, i nomadi. Dai tempi dell’Olocausto, quando ne furono sterminati mezzo milione (ma la cifra è calcolata per difetto) a oggi Rom, Sinti, Korakhane, - gitani, insomma -, continuano a essere oggetto di discriminazioni. 


E a nulla valgono le ricerche che dicono, per esempio, che nessun bambino è mai stato “rubato” dagli zingari, come invece accreditano le leggende metropolitane. O le inchieste sull’integrazione scolastica dei ragazzi che spiegano quanto bene rendano a scuola i piccoli abitanti dei vari campi nomadi. A ricordaci la dignità e l’attenzione che dovremmo riservare ai nomadi arriva in libreria il bel volume dello storico Maurilio Guasco dedicato a don Luigi Di Liegro (Gaeta, 16 ottobre 1928 – Milano, 12 ottobre 1997)  


Un'immagine d'archivio di don Luigi Di Liegro (Gaeta, 16 ottobre 1928 – Milano, 12 ottobre 1997)
Un'immagine d'archivio di don Luigi Di Liegro (Gaeta, 16 ottobre 1928 – Milano, 12 ottobre 1997)

Non a caso il volume, edito da Il Mulino, si intitola Carità e giustizia (euro 25). A 15 anni dalla morte del direttore storico della Caritas di Roma, Guasco ripercorre tutta la sua storia, dal papà emigrato alla malattia di cuore che lo uccise a Milano il 12 ottobre 1997. Un lavoro certosino che ha prodotto 338 pagine nelle quali si ricordano anche gli attriti di don Luigi con l’allora sindaco Rutelli. 

Nodo del contendere proprio lo sgombero, con la polizia mandata armata, alle sei del mattino, tra le famiglie di alcuni campi nomadi della capitale. A chi gli rimproverava di difendere troppo i nomadi e i poveri, don Di Liegro rispondeva, come annota Maurilio Guasco: «Quando Gesù allude al fatto che il Figlio dell’uomo non ha una pietra su cui posare il capo, fa un’affermazione che pare esprimere un’esistenza difficile, più o meno errante e marginale. Un tipico senza fissa dimora, diremmo oggi. Gesù si presenta come uno che non ha una casa e un riferimento fisso. Gesù rompe, in nome di Dio, con le convenzioni sociali e con l’ordine sociale.Lo fa in nome di un’altra visione dell’ordine e dei valori alternativi: propugna l’integrazione degli esclusi, in luogo di mantenere la loro discriminazione e allontanamento». 

Annachiara Valle

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