12/03/2013
Sua Beatitudine monsignor Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme (Reuters).
E per la pace? "Preghiamo, preghiamo, preghiamo". E' la ricetta di monsignor Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, la cui lectio magistralis ha fatto da “prologo spirituale” alla Settimana dell'Artigianato, che si aprirà ufficialmente domenica 17, e che tutti gli anni la Confartigianato vicentina organizza, in occasione della festa di san Giuseppe.
"I muri che in Terra Santa dividono famiglie, case, parrocchie", ha continuato l'alto prelato, "sono l'espressione visiva dei muri nei cuori degli uomini. Per arrivare alla pace, abbiamo bisogno della conversione dei cuori di tutti, più che mai in questo periodo di Quaresima».
- Il premier Benyamin Netanyahu ha delegato Tzipi Livni ai rapporti con i palestinesi. A fine mese, il presidente Obama sarà in visita a Gerusalemme, Ramallah e Amman. Siete speranzosi nella ripresa del processo di pace?
"Noi vorremmo la pace per tutti, una volta per sempre. Siamo stanchi delle chiacchiere dei politici, siamo stanchi del termine “processo” di pace. Lo dissi una volta all'onorevole D'Alema, bisogna andare direttamente alla pace, senza il processo, perché, altrimenti, come è accaduto finora, non si arriverà a nulla. La vogliamo fare questa pace di cui tutti hanno bisogno? Facciamola per i nostri bambini, per dar loro un futuro, per dire loro che potranno avere una vita normale. La parte palestinese è la più debole, quella israeliana la più forte. Tocca al più forte essere più intelligente e più responsabile, cedere un po', e aiutare. Ma tutti sono chiamati a fare sacrifici per poter godere insieme della pace. E' impensabile pensare a una pace per un popolo solo, senza l'altro, è impensabile imporre la pace con la forza, con i muri, con le restrizioni. La pace non è contratto, non è solo assenza di guerra; dobbiamo tutti poter vivere con serenità, con fiducia reciproca, con fiducia nel futuro. La pace è lo stato naturale dell'uomo, che vive in armonia con sé stesso e con il prossimo. E' talmente desiderabile da noi, che è diventata un saluto, shalom. Dalla pace, poi, discendono, la giustizia, la solidarietà, la condivisione. Io spero che non mancheranno le buone volontà per fare i giusti passi".
- Perché proprio nei Luoghi dov'è nato Gesù, la violenza non si ferma?
"La nostra è la Chiesa del Calvario, dove la via Crucis non sembra avere fine. E' triste vedere soffrire i figli di questa terra benedetta. E' vero, siamo Chiesa della croce, ma anche Chiesa della tomba vuota, della resurrezione, della speranza. Solo Gesù, che è passato attraverso le tribolazioni, può portare la salvezza".
- Lei ha “bacchettato” i giornalisti, dicendo che da quando è scoppiata la guerra in Siria, non si occupano più dei problemi della Terra Santa.
"L'attenzione mondiale oggi è rivolta alla Siria. E su di noi è calato il silenzio. Il muro, l'occupazione, le colonie, chi ne parla più? Si dice sempre Territori Occupat”, ma non si dice mai da chi. Mica sono occupati dagli angeli, sono occupati da Israele, eppure i media se ne dimenticano. A Gerusalemme vengono pellegrini da tutto il mondo, ma il parroco di Ramallah non può venire a pregare nei Luoghi Santi. Provo pena perché c'è tutta una generazione di giovani cristiani, nati e cresciuti in Palestina, che non sanno dove si trova il Santo Sepolcro perché non hanno mai avuto il permesso di venire a Gerusalemme. Abbiamo fatto uno studio sui manuali di catechismo ebraico e islamico. Volevamo sapere che cosa gli uni insegnano ai propri ragazzi sugli altri, e viceversa. Una catastrofe. Come si fa a “rompere i muri”, se fin dalla scuola si insegna ai propri figli a odiare i figli degli altri? La Chiesa cattolica è l'unica ad avere il coraggio di dire la verità, e per questo qualche volta qualcuno è scontento di noi".
- Non possiamo però non parlare della Siria...
"Come Consiglio dei Patriarchi Cattolici d'Oriente (oltre al Patriarca Latino di Gerusalemme, ve ne fanno parte i Patriarchi di Alessandria dei copti, di Antiochia dei maroniti, di Antiochia dei melchiti, di Antiochia dei siri, di Babilonia dei caldei, di Cilicia degli armeni, n.d.r) a una sola voce diciamo che non siamo d'accordo con quello che sta succedendo. Certo, la Siria ha bisogno di riforme, ma non si possono fare le riforme con un massacro. Non voglio difendere il regime – anche se va detto che Assad ha sempre permesso ai cristiani di avere le loro case, di lavorare, di costruire le chiese - tuttavia questo non è il modo. Come si fa ad avviare un cambiamento senza avere idea di che cosa succederà dopo? Ci siamo già passati con l'Iraq. Ieri mezzo milione di rifugiati iracheni, oggi mezzo milione di rifugiati siriani. Un dramma umano intollerabile».
- Un suo ricordo personale di papa Benedetto XVI.
"L'ho conosciuto bene perché quando è venuto in Giordania e Palestina, l'ho accolto e accompagnato. Siamo stati insieme non solo nei momenti ufficiali, ma anche privatamente. E' un uomo di pace, di preghiera, di dialogo con tutti, con gli ebrei e con i musulmani. La sua scelta di dimettersi è stata uno shock per la Chiesa. Ma sempre da una scossa nasce qualcosa di più bello, di più vivo. Un esempio anche per quei politici che si aggrappano alla sedia e non la mollano mai. Per me è stato un Papa grande, e con questo gesto è diventato ancora più grande".
- Quali sono le aspettative delle Chiese medio-orientali rispetto al futuro pontefice.
"C'è una linea chiara della Santa Sede per la nostra terra: pace e giustizia per i palestinesi. E questa linea continuerà con il nuovo Papa. Io sono sicuro che tutti i “papabili” amano la Terra Santa, tutti sono venuti pellegrini, sono passati da me al Patriarcato, anche per condividere un pranzo. Ci troviamo in famiglia. Chiunque venga eletto, sarà certamente un uomo che ci ama e che penserà alla questione della pace".
Romina Gobbo