26/05/2012
La paladina della lotta per l'abolizione della pena di morte negli Stati Uniti, suor Helen Prejean (Foto Alessandro Dalla Pozza)
La
paura e la speranza, temi del Festival Biblico di quest'anno, si
scacciano a vicenda. E a decidere chi vince siamo noi, il nostro
cuore, la nostra mente. La nostra capacità di fare comunione tra
noi. Questo il messaggio di speranza che emerge dalle relazioni dei
tanti ospiti, noti e meno noti, uomini e donne di diverse
provenienze che, pur con missioni diversissime tra loro, mostrano con
la loro vita che la crisi è un'occasione, un punto da cui ripartire. E la gente
ha risposto riempiendo le sale del Festival Biblico.
Carlo
Maria Bregantini, vescovo di
Campobasso-Bojano e presidente della commissione episcopale per il lavoro,
simbolo vivente della lotta della chiesa contro la mafia, ha invitato
ciascuno ad assumere gli stessi atteggiamenti di Maria, che
“conservava e meditava” nel suo cuore le cose che sentiva e
vedeva riguardo a Gesù. Un atteggiamento di pazienza e ascolto, di
capacità a ricostruire le situazioni quando esse sono compromesse,
rovinate. «Siate
ricostruttori, vincete la disperazione con l'affidamento a Dio nello
Spirito Santo» Ma il
testimone della speranza contro ogni speranza per Bregantini è San
Paolo: «Chi
ci separerà dall'amore di Dio?», si chiede l'Apostolo. La fede di Paolo sta lì ad
insegnarci, secondo il vescovo di origine trentina, «che si può
veramente guardare all'”oltre” della crisi economica e di valori
che contraddistingue questo nostro tempo».
Lo
scrittore milanese Don Angelo Casati, in una seguitissima conferenza ha
parlato delle “paure che ci abitano”. La paura della vita («c'è
una bella differenza tra l'occuparsi delle cose e l'essere occupati
dalle cose: non dobbiamo farci occupare ma restare liberi,
soprattutto nella chiesa, che a volte pecca un po' di eccessive
occupazioni e trionfalismi»); la paura del viaggio («I giovani,
pensiamo solo al matrimonio, faticano a lanciarsi nella loro vita:
occorrono oggi traghettatori che sappiano loro insegnare a
rischiare»); la paura dell'altro («Anche nella chiesa spesso
abbiamo paura dell'altro, del non credente, ma il cardinal Martini ci
ha insegnato a scavare nel cuore di ogni uomo per trovare l'oro che
Dio lì ha riposto»); la paura del pensare («Forse come cristiani
siamo troppo rivolti verso una sorta di pensiero unico, invece non
dobbiamo avere paura del pensiero, anche laico»).
Jürgen
Humburg, funzionario
della UNHCR, l'Alto Commissariato per i Rifugiati, ha denunciato la
confusione che, soprattutto nei media, esiste tra rifugiati,
immigrati, clandestini, asilanti. Situazioni giuridicamente diverse
ma confuse sulla stampa. Un po' anche per ignoranza. «A
6o anni dalla Convenzione
sui rifugiati del 1951 l'asilo nel mondo ci sono ancora tantissimi
rifugiati, circa 10 milioni»,
ha sottolineato Humburg. Il
segno di una sconfitta, «soprattutto
quando, come nel Kenia, quasi 50mila rifugiati sono arrivati ormai
alla terza generazione, segno di un problema che, da provvisorio,
diventa definitivo».
Il funzionario ha ricordato che in Italia i profughi sono circa
60mila, una piccola percentuale rispetto ai 4 milioni di stranieri
presenti nel nostro paese. Paese che garantisce standard veramente
minimi ai rifugiati che, una volta ottenuto il permesso provvisorio,
vengono abbandonati a sé stessi senza un accompagnamento culturale e
sociale che ne favorisca l'inserimento.
Infine
Suor Helen Prejean, la religiosa statunitense paladina
dell'abolizione della pena di morte nel suo paese, ha interloquito
con i ragazzi del liceo scientifico “Quadri” di Vicenza. La
donna, ispiratrice del film Dead Man Walking, premio Oscar nel 1996,
ha suscitato intensa emozione tra i giovani quando ha raccontato
della sua attività di assistente spirituale di tanti condannati,
«che
muoiono infinite volte prima di essere giustiziati immaginandosi la
loro esecuzione, una tortura inaccettabile». Suor Helen si
è mostrata ottimista sulla possibilità di arrivare all'abolizione
della pena capitale negli Stati Uniti.
Stefano Stimamiglio