Bianchi: nel segno del Festival Biblico

Ferruccio De Bortoli ed Enzo Bianchi ricordano il cardinal Carlo Maria Martini: "Ci ha insegnato l'umiltà, ingrediente necessario per il dialogo con tutti, credenti e non credenti".

25/05/2012
Ferruccio De Bortoli al Festival Biblico (Foto Alessandro Dalla Pozza).
Ferruccio De Bortoli al Festival Biblico (Foto Alessandro Dalla Pozza).

«La speranza è diventata la virtù più faticosa, per questo dobbiamo essere grati al cardinal Carlo Maria Martini per averci aiutato nel suo lungo ministero episcopale a vedere nelle Sacre Scritture una fonte di speranza per l'uomo di oggi». Una menzione d'onore a Martini, quella di fratel Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, in una serata, quella di ieri sera, che ha introdotto le oltre mille persone assiepate nel duomo di Vicenza nel cuore del Festival Biblico. Un momento molto coinvolgente dedicato proprio all'arcivescovo emerito di Milano e che ha visto colloquiare due amici di vecchia data: Bianchi, appunto, e Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera. «Grazie alla sua familiarità con la Bibbia Martini ha dato conto della speranza che abita i cristiani, ha confermato nella fede i fratelli ma soprattutto ci ha richiamato a non cedere alla nostalgia del passato mostrandoci la strada maestra: il Concilio Vaticano II».

Un uomo, Martini, che ha saputo ascoltare i non credenti con mitezza, con uno sguardo di simpatia. «Sapeva trovare in loro la bellezza della ricerca del senso della vita, ha sempre cercato una confidenza con loro, per questo ha voluto la Cattedra dei non credenti». Senza imporre nulla ma accettando il confronto e la critica, ha aggiunto fratel Enzo. Entrando poi nell'attualità, il religioso ha parlato dell'attuale crisi economica e di valori: «La crisi, secondo l'etimologia greca, mette alla prova, passa al setaccio; è un momento, come diceva Ippocrate, in cui la malattia prende una svolta: o passa o porta alla morte». E lo stesso criterio è applicabile a noi, oggi: «La società è come un corpo, siamo tutti interdipendenti, siamo chiamati a cooperare insieme, alla solidarietà, non possiamo fare a meno l'uno dell'altro». L'importante è vivere questi tempi in modo “inclusivo”, «cercando un orientamento che riguardi il maggior numero di persone». Ecco allora la crisi come «appello a ripensare la vita propria, quella della società, a risituarci nella nostra esistenza». A partire da dove? «E' l'esperienza salvifica del Cristo che ci insegna la speranza contro ogni speranza, che nasce dall'adesione alla sua esistenza testimoniata nei vangeli, Colui che ci ha mostrato il Dio invisibile che nessuno ha mai visto», ha sintetizzato il priore di Bose. La speranza cristiana, poi, come antidoto alle due fondamentali paure dell'uomo, da cui tutte le altre discendono: la paura della morte e di Dio. «Vogliamo combattere la morte con l'affermazione di noi stessi, uccidiamo l'altro illudendoci che questo ci permetta di vincere la morte e invece questo atteggiamento, chiamato in greco “filautia”, ci impedisce la fraternità, la comunione, la condivisione». E la paura di Dio? «Nella Genesi, dopo il peccato, Dio cerca l'uomo e questi si nasconde perché ha avuto paura: di chi? Di un Dio legislatore, onnipotente, padrone». Ecco allora il richiamo ai cristiani di mostrare ai non credenti non un Dio siffatto ma «il Dio di Gesù Cristo, colui che “ha evangelizzato Dio”, ha saputo cioè rendere Dio buona notizia». «”Non abbiate paura perché il crocifisso è risorto”, è il grido pasquale che vince per sempre ogni paura».

Ferruccio De Bortoli, prendendo la parola, ha invitato a ricordare un insegnamento di Martini nei suoi interventi sul Corriere della Sera: quello di immedesimarsi nei personaggi delle parabole. «Siamo tutti nei panni del pubblicano, del ricco epulone, del sacerdote e del levita nella parabola del Buon Samaritano». Occorre evitare allora di «vestire la nostra fede con la disinvoltura con cui si mette un abito di stagione, come se la fede fosse un prodotto “à la charte”», ha denunciato il direttore. Che, poi, ha ricordato come “carità” deve sposarsi con “comunità”: «Senza carità non c'è comunità. Oggi abbiamo tante “communities”, cioè comunità virtuali, ma poche relazioni intime, profonde». Poca comunità, insomma, «come mostra anche lo scarso senso di legalità della nostra società», ricorda nell'attenzione generale l'intellettuale. Infine, un richiamo a non aver paura del diverso, dello straniero: «La società che si chiude muore, chi si apre all'altro invece acquista speranza e vive. Se solo riscopriremo la virtù dell'ascolto avremmo, come diceva Papini, una certezza su cui posare il capo», ha concluso De Bortoli.

Stefano Stimamiglio
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Postato da Andrea Annibale il 25/05/2012 15:52

Nasciamo per essere perdonati. Questo è il mio pensiero rivolto ai non credenti. Se qualcuno pensa di avere qualcosa di cui farsi perdonare, è già incamminato sulla strada di Dio. Io chiedo perdono per tutti quelli che, in buona o mala fede, ho danneggiato durante la mia vita. Sono nato per essere perdonato, dunque il male non è necessariamente legato alla vita perché il perdono di Dio lo dissolve. Come si vive, da non credenti, senza la speranza del perdono? Non lo ho mai capito, tranne che con il meccanismo della vendetta e/o della giustizia terrena. Quest’ultima poi è necessaria, lo riconoscono sia i credenti, sia i non credenti. Se nasciamo per essere perdonati, deve essere grande la nostra speranza di credenti da testimoniare in giro a tutti. Facebook: AAnnibaleChiodi; Twitter: @AAnnibale.

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