Gli strumenti che usa l’Unione Europea per misurare la povertà in Europa non sono sufficienti per capire la dimensione del fenomeno. Lo scrivono i vescovi del continente in una nota al termine di un’incontro di due giorni della commissione che raccoglie in rappresentanti di tutte le conferenze episcopali. Ai politici dell’Unione suggeriscono di considerare non solo i parametri economico, ma anche quelli che indicano il livello di relazione tra le persone. In Europa ci sono sempre più famiglie abbandonate dal sistema del welfare, anziani soli e si stanno piano piano incrinando i rapporti di vicinato, che in passato permettevano a molti di sopravvivere meglio nelle crisi. Oggi non è più così. E per uscire dalla crisi non basta solo riempire di nuovo il portafoglio, ma anche capire cosa è davvero importante per le persone. La dignità di una persona, scrivono i vescovi, “non si misura più solo sul suo salario o sulla rete di rapporti d’affari, ma dipende anche dai rapporti che abbiamo con gli altri”. Poi ricordano che la Chiesa è in principale attore della lotta contro la povertà. Un recente rapporto di Caritas Europa, presentato a Bruxelles nell’ambito delle iniziative dell’anno indetto dall’Unione per la lotta alla povertà, aveva sottolineato che le Caritas impiegano 700 mila operatori e quasi mezzo milione di volontari in programmi di assistenza sociale. Invece, denunciano i vescovi, i politici “non hanno affrontato il problema alla radice in modo da evitare che si verifichino nuove crisi”. Sono 79 milioni gli europei che vivono sotto la soglia della povertà, di cui 19 milioni bambini. Tra le cause della crisi i vescovi indicano anche “gli eccessi” e la “confusione dei valori”, primo fra tutti il rapporto squilibrato tra “interesse individuale e collettivo” e hanno dato la loro disponibilità a discutere in modo “trasparente e regolare” con le istituzioni di Bruxelles su questi temi, come previsto dal nuovo Trattato di Lisbona.
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