07/12/2012
Il latino è la la lingua ufficiale della Chiesa: per più di duemila anni il ricco patrimonio teologico e culturale si è espresso in questa lingua (ThinkStock).
Con un “motu proprio” papa Benedetto XVI ha istituito la Pontificia Accademia di Latinità, con sede nella Città del Vaticano, “per la promozione e la valorizzazione della lingua e della cultura latina” (come si legge nel primo articolo dello statuto).
Suo presidente è stato nominato Ivano Dionigi, rettore dell’Università di Bologna; segretario, Roberto Spataro, docente di latino presso la Pontificia Università Salesiana di Roma (vedi intervista).
L’Accademia – formalmente collegata con il Pontificio Consiglio della Cultura, dal quale dipende – risponde a un’esigenza sempre più sentita nella Chiesa, quella di non disperdere troppo facilmente il ricco patrimonio teologico e culturale che nella sua storia bimillenaria si è espresso in latino.
Il problema è stato segnalato dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: molti sacerdoti di oggi non conoscono più il latino. Anzi – ha rincarato la dose nei giorni scorsi il porporato – all’ultimo sinodo anche molti vescovi mostravano poca familiarità con questa lingua, che pure, negli anni del seminario, avrebbero dovuto studiare.
Non si tratta, ovviamente, di fare marcia indietro rispetto all’apertura della liturgia alle diverse lingue nazionali decisa dal Vaticano II, ma di non buttare via, come dicono gli inglesi, “il bambino insieme con l’acqua calda”.
Parlare in latino
Un altro scopo dell’Accademia – recita lo statuto –
è quello di “promuovere nei diversi ambiti l’uso del latino, sia come lingua scritta, sia parlata”. Cioè provare a rivitalizzare una lingua, come il latino, che in genere si definisce morta. E questa è una bella intuizione, anche di tipo didattico, se pensiamo a come l’idioma di Cicerone spesso viene insegnato (male) nelle nostre scuole.
Chi insegna questa materia sa che gli studenti sono sempre meno motivati nei confronti della cultura classica. E la didattica del latino è ancora segnata da una marcata grammaticalizzazione, che ne rende lo studio arido e noioso. Un approccio che sembra pensato apposta per respingere.
Nell’insegnamento delle lingue moderne è invalso da molti anni il cosiddetto “metodo comunicativo” (o “metodo natura”), che consiste nel muovere da concrete situazioni quotidiane per ricavarne le regole grammaticali, ma in un secondo momento. Introdurre il metodo comunicativo (o “metodo-natura”) anche nell’insegnamento del latino avrebbe senz’altro l’effetto di vivacizzare il suo apprendimento, rendendolo più appetibile alle nuove generazioni.
Il boom mondiale della lingua di Cicerone
La nuova istituzione vaticana va, infine, nella direzione di una risposta a una richiesta sempre più diffusa nel mondo.
Dove si capisce che il latino è importante, che il suo studio conferisce profondità alla preparazione culturale, aiuta a sviluppare le competenze logiche, argomentative, lessicali.
Sempre più negli ultimi anni, dagli Stati Uniti ai Paesi dell’Europa del Nord, dalla Cina all’Australia, è emerso un forte interesse per il latino.
In Finlandia, ad esempio, viene pubblicato in latino un quindicinale per ragazzi e la radio trasmette ogni giorno un’edizione del notiziario sempre in latino.
Proprio per rispondere a tale domanda globale,
la Pontificia Accademia di Latinità si propone di curare pubblicazioni, incontri di studio, convegni e concorsi internazionali, per educare i giovani, anche attraverso i moderni strumenti multimediali, alla conoscenza del latino.
Con quel respiro universale che contraddistingue la Chiesa cattolica, forse come nessun’altra realtà.
Roberto Carnero
Roberto Carnero