L'Italia vuole cultura, lo Stato no

Nonostante la crisi, nel 2011 la spesa nel nostro Paese è cresciuta, mentre i fondi pubblici continuano a diminuire. La denuncia nel rapporto annuale di Federculture.

La politica non ci crede

12/06/2012
Il David di Michelangelo all'Accademia di Firenze si conferma una delle maggiori attrattive per turisti italiani e stranieri.
Il David di Michelangelo all'Accademia di Firenze si conferma una delle maggiori attrattive per turisti italiani e stranieri.

A fronte di una domanda, un interesse, una spesa e un consumo che, come si è visto, sono in crescita costante da anni, il finanziamento pubblico al settore ha l'andamento di un crollo in picchiata. Negli ultimi dieci anni il bilancio del ministero ai beni culturali è diminuito del 36,4 per cento, arrivando nel 2011 a 1.425 milioni di euro, contro i 2.120 del 2001. In rapporto al Bilancio dello Stato lo stanziamento per la cultura si ferma llo 0,19 per cento, appena lo 0,11 per cento del Pil. Per cogliere la portata del dato, non solo economica ma anche culturale e simbolica, si pensi che dopo la guerra, quando il Paese andava ricostruito e c'era bisogno di inventarsi il futuro, lo Stato destinava alla cultura lo 0,8 della spesa totale (nel 1955), il quadruplo di oggi. Identica dinamica per il Fondo unico per lo spettacolo, che dai 501 milioni di euro del 2002 è stato ridotto ai 411 milioni di euro del 2012 (-17,9 per cento).

Non hanno sopperito gli enti locali, in particolare i Comuni, che negli ultimi anni erano
stati protagonisti delle politiche culturali con una spesa pari al 3,3 per cento dei loro bilanci. Una ricerca di Federculture, contenuta nel Rapporto, su un campione di 15 grandi Comuni, evidenzia che tra il 2008 e il 2011 la spesa culturale delle amministrazioni comunali è diminuita mediamente del 35 per cento. L'incidenza della voce cultura sui bilanci comunali è scesa al 2,6 per cento.

Non è andata meglio per le sponsorizzazioni in generale: dal 2008 si calcola una diminuzione del 25,8 per cento; per il 2012 si prevede un'ulteriore contrazione del 5 per cento. Ancora peggio se esaminiamo le sponsorizzazioni per la cultura: nel 2011 sono state pari a 166 milioni di euro, l'8,3 per cento in meno rispetto al 2010 (-38,3 per cento dal 2008 al 2011). E se restano invariate le erogazioni da parte delle Fondazioni bancarie, il privato ha emulato il cattivo esempio del pubblico: nel quadriennio 2008-2011i contributi dei privati si sono ridotti del 40 per cento, mentre ci si è concentrati fortemente sull'aumento delle entrate provenienti da attività proprie (+70 per cento), generando un notevole autofinanziamento (dal 47,8 per cento al 64,7 per cento nel quadriennio considerato).

Anche la Galleria degli uffici, a Firenze, è ai primi posti per il numero di visitatori.
Anche la Galleria degli uffici, a Firenze, è ai primi posti per il numero di visitatori.

Che la cultura sia vittima di un colossale abbaglio, per cui è considerata un costo e non quello che realmente è, un'opportunità e una risorsa, la conferma il valore del brand del nostro patrimonio (arte, paesaggio, beni). Nel 2001 l'Italia è ancora al primo posto nella classifica del Country Brand Index per l'attività culturale; di contro, siamo solo decimi, pur in risalita, nella classifica sulla capacità di attrazione dell'immagine-Paese. Insomma, siamo, agli occhi del mondo, un diamante prezioso, ma ci impegniamo... a tenerlo ben nascosto. Resta forte, secondo i dati Unctad, l'export di beni creativi italiani, del valore di oltre 23 miliardi di dollari, in crescita, pari al 17 per cento dell'export europeo e al 6 per cento di quello mondiale.  Siamo il quarto Paese al mondo per esportazione di beni creativi, il primo tra le economie del G8 per il design.

«La cultura è, insomma, una grande industria capace di produrre beni e servizi made in Italy che  originano anzitutto da un’esperienza che si sviluppa in un contesto unico e originale», afferma nel Rapporto Roberto Grossi, presidente di Federculture. «Il settore delle industrie culturali e creative, oggi stimato valere il 4,5 per cento del Pil europeo e il 3,8 per cento degli occupati totali, sarà nei prossimi anni in grande espansione. Ma mentre gli altri Paesi, nostri concorrenti, hanno già fatto delle scelte, noi non abbiamo ancora cominciato a discutere».

Paolo Perazzolo
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