27/05/2013
Dan Brown, 48 anni, americano.
Uscito martedì 14 febbraio in contemporanea mondiale nei diversi Paesi (in Italia per i tipi di Mondadori), il nuovo libro di Dan Brown, Inferno, è già in testa alle classifiche.
Nelle prime pagine qualcuno sta fuggendo sulle rive dell’Arno e in mezzo alle bancarelle dei venditori ambulanti di Firenze. Ritroviamo poi una vecchia conoscenza, il professor Robert Langond, l’esperto di simbologia religiosa dell’Università di Harvard, che nei precedenti romanzi dello scrittore statunitense (Il codice da Vinci, Angeli e demoni, Il simbolo perduto), si trovava a dipanare, con le armi della cultura, dell’intuizione e di una smodata dose di fortuna, complessi enigmi e misteri a chiave.
Ora Langdon si sveglia da un incubo, ma scopre di trovarsi in un ospedale fiorentino. Non ha memoria di come sia finito nella città toscana, dal Massachusetts, dove insegna, ma ha la certezza di essere in pericolo, perché una cosa gli sembra di ricordarsela: per strada una donna, armata di una pistola con il silenziatore, ha cercato di ucciderlo. Chi è questa donna? Perché sta cercando di attentare alla vita del professore? Domande legate a una trama complicata, ricca di colpi di scena e di svolte inattese.
Al centro della storia, un mistero che ha a che fare con Dante Alighieri e, appunto, con il suo Inferno, la prima cantica della Divina Commedia.
Non si può dire che l’immediato successo della nuova opera di Dan Brown sia qualcosa di sorprendente: i suoi milioni di lettori sparsi per il globo (200 milioni sono le copie sinora vendute dei suoi libri) erano stati preparati alla pubblicazione di questo best-seller annunciato, attraverso un’abilissima strategia di marketing iniziata diversi mesi prima. Basti pensare che lo stesso titolo del romanzo è stato da lui rivelato attraverso una serie di tweet successivi (il suo hashtag è #DanBrownTODAY) ognuno dei quali scopriva un tassello di un’immagine oscurata sul sito Today.com, finché è stato possibile leggere per intero la parola “Inferno”.
Massima, fino all’uscita, era stata infatti la segretezza che circondava
l’operazione. L’editore americano di Dan Brown, Doubleday, aveva fatto
firmare a chiunque fosse venuto a contatto con il testo a tutti i
livelli della catena produttiva (redattori, traduttori, tipografi,
stampatori) un contratto che lo vincolava a un totale riserbo, con
penali salatissime in caso di mancata osservanza anche solo di una
clausola. Le stesse copie, una volta stampate e rilegate, sono state
custodite fino a martedì scorso dal più importante portale di vendita di
libri on-line, Amazon.com, in un capannone sorvegliato da vigilantes
armati ventiquattr’ore su ventiquattro.
Lo stesso Dan Brown è molto schivo e restio alle interviste (ma è
annunciata una sua conferenza stampa a Firenze il prossimo 6 giugno).
Quando lo abbiamo incontrato in una delle rare occasioni in cui si è
concesso alla stampa (la presentazione italiana del suo romanzo
precedente, Il simbolo perduto), ci aveva confessato di essere piuttosto
allergico ai clamori massmediali, perché l’eccesso di popolarità con
tutto ciò che ne consegue finisce per turbare la concentrazione
necessaria alla scrittura. “Con il successo”, ci aveva detto, “la mia
vita privata è mutata in maniera sostanziale: ho molti più soldi, sono
al centro dell’attenzione mediatica, viaggio in tutto il mondo. Sperò
posso dire che non è cambiato il mio rapporto con la scrittura. Mi alzo
tutte le mattine alle 4, lavoro 6 giorni su 7, per ogni pagina che
scrivo ne butto altre 10. Ai miei personaggi, quando scrivo, non importa
sapere quante copie ho venduto e quanto sono ricco e famoso. Continuano
a essere esigenti con me. Perché possano risultare credibili, mi
chiedono sempre molto lavoro”.
Una disciplina spartana che Dan Brown continua a imporsi nonostante le
cifre da capogiro delle vendite dei suoi libri e dei diritti derivanti
dalle fortunatissime trasposizioni cinematografiche (con Tom Hanks nei
panni di Robert Langdon). Da quando è uscito Il codice da Vinci,
esattamente dieci anni fa, Dan Brown si è rintanato nella sua casa
sull’Oceano a Rye Harbor, una cittadina del New Hampshire, dove vive con
la moglie Blythe Newlon (60 anni, mentre lui ne ha 49), il suo braccio
destro, che svolge le ricerche preparatorie per i suoi libri e che –
azzardano i maligni – forse di tanto in tanto ne scrive interi capitoli.
Ma lui alle critiche risponde facendo spallucce. “I critici di cui mi
fido di più”, ci ha detto, “sono i miei lettori”. Lettori che anche
questa volta, a leggere i dati relativi alle vendite, lo stanno
premiando in maniera impressionante.
Roberto Carnero
a cura di Paolo Perazzolo