27/05/2013
La sede dello Ior.
Fateci caso: ormai non c’è quasi più articolo scritto dai cosiddetti “vaticanisti” che nel riferire di cose curiali non faccia ricorso al manierismo di Dan Brown. Non solo quando si tratta di raccontare le vicende di maggiordomi spioni o monsignori che hanno tradito la propria vocazione, ma anche se il tema riguarda i francobolli della Santa Sede o il giuramento delle guardie svizzere. Che articolo è senza un corvo, o almeno un corvetto che spiffera qualche transazione di denaro sporco o qualche documento pontificio che evoca leggende nere?
L’importante è ambientare tutto come una suggestiva location di Angeli e Demoni, scorgendo ovunque congiure, truffe, cospirazioni, in un’atmosfera di intrigo che rimanda necessariamente alla corte dei Borgia, o almeno ad Assassin Creed. Insomma: il genere letterario di Dan Brown – gnostico, ateista, laicista quanto si vuole ma tutto sommato legittimo, trattandosi di "arte", o meglio di un "fumettone" per vincere l'insonnia o passare due ore in treno - è diventato un genere giornalistico, spesso e volentieri disonesto. Nei saggi degli inchiestisti sulle vicende della Curia romana ormai la simbiosi con i romanzi browneschi è praticamente totale. Lo ha sostenuto espressamente persino il segretario di Stato Tarcisio Bertone.
Ha scritto sul Messaggero la storica Lucetta Scaraffia: “Esiste ormai da molti anni un particolare genere di letteratura dedicata al giallo in Vaticano, ma è soprattutto dopo il Codice Da Vinci, che questo genere è decollato alla grande. Sono in molti oggi gli autori e gli editori che sperano nel successo internazionale puntando in vario modo a “scoprire gli altarini”, è proprio il caso di dire, dissacrando la Chiesa che nonostante tutto ha mantenuto una qualche forma di sacralità o almeno di rispettabilità – anche agli occhi dei non credenti”.
Naturalmente al centro di tutto c’è lo IOR, la banca del Vaticano. Che, va detto, un po’ se l’è cercata, visti gli episodi nefasti di cui si è macchiata ai tempi di Marcinkus e di Donato de Bonis. Ma qualunque sforzo di trasparenza venga fatto da almeno 20 anni a questa parte dalle parti del torrione Niccolò V non ha nessuna importanza. Del rapporto ai media di 64 pagine come quello recente sull’iter di trasparenza finanziaria intrapreso dalle finanze vaticane in campo internazionale, con l’avvenuta valutazione positiva del Gafi e di Moneyval, sono stati presi dai giornali di tutto il mondo solo i sei casi citati di ispezione e indagini per sospetto riciclaggio. Eppure non risulta che vi siano banche, in tutto il mondo, che fanno conferenze stampa su simili episodi, che certamente avvengono.
E così succede che ancora una volta l’Istituto finanziario vaticano
venga ridipinto come una lavanderia di denaro sporco.
Commenta Angiolo Bandinelli, sul Foglio: “Nell’immaginario corrente il
Vaticano è la location perfetta di crimini e violenze d'ogni genere. In
questo ruolo, il Vaticano è la sintesi, la quintessenza di una
amata-odiata Italia nella quale l'intrigo, l’ipocrisia e la perfidia,
l'assassinio, la gelosia come malattia dell'anima sono gli storici,
eterni ingredienti che rendono sulfureo e infido un paese di bellezze
irripetibili, dunque invidiate e insidiate (…). Sarebbe difficile fare
la conta di tutto quanto si è scritto sulle malefatte del Vaticano, anzi
dei "sotterranei" del Vaticano. Il sesso, in ogni declinazione
possibile, è ovviamente al centro. Quasi sempre in combinazione con il
denaro: eccita tremendamente elucubrare di immense ricchezze nascoste
sotto la cattedra di San Pietro, un illimitato forziere messo assieme
dall'avidità curialesca e pretesca”.
Forse l’unico modo per liberarsi da questi pregiudizi
mediatici duri a morire e contribuire a riportare un'informazione corretta sulle faccende curiali è assumere Dan Brown in Vaticano a fianco di padre Lombardi e Greg Burke. Potrebbe essere un ottimo antidoto. Anche
se un contratto di consulenza potrebbe costare caro alla Santa Sede.
Francesco Anfossi
a cura di Paolo Perazzolo