15/04/2013
F. Murray Abraham è Marco d'Aviano in "11 settembre 1683".
Ha scatenato polemiche ancor prima che qualcuno ne vedesse un solo fotogramma. «Sono cose che non mi toccano», ribatte il regista, «ciò che provo è solo un gran senso di libertà. Finalmente, il giudizio del pubblico».
È l’attacco del pezzo che Famiglia Cristiana dedicò a Renzo Martinelli in occasione dell’uscita nelle sale del film Porzus, sull’eccidio di partigiani cattolici della Brigata Osoppo nel febbraio del ’45 da parte dei compagni comunisti. La pellicola mise a rumore l’apertura della 54° Mostra del cinema di Venezia.
Era il 1997, ma quelle parole funzionano benissimo anche oggi per commentare Undici settembre 1683, l’ultimo chiacchieratissimo titolo di Martinelli, nei cinema di tutta Italia proprio in questi giorni. Sullo schermo la spettacolare rievocazione di un episodio storico tanto importante quanto misconosciuto: la battaglia che in quella data si svolse attorno alle mura di Vienna, allora grande capitale dell’Impero Asburgico, tra i circa 60 mila soldati cristiani della Lega Santa (guidata dal re polacco Sobieski) e le forze cinque volte superiori dell’esercito ottomano (capitanato da Karà Mustafà). La coincidenza di date col tragico attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York viene giudicata da alcuni come una forzatura di Martinelli. Ma lui respinge al mittente le critiche e sottolinea come «sia necessario prendere coscienza delle radici storiche di tanto odio per capire e dialogare».
Il tema, insomma, è quello caldissimo dei rapporti tra Occidente e Islam. Anche se l’ottica storica suggerirebbe un distacco capace di placare i bollenti spiriti. Lo stesso regista getta acqua sul fuoco: «Lungi da me l’intento di demonizzare l’Islam e la religione musulmana», assicura pur essendo la seconda volta che batte il ferro dopo aver diretto nel 2006 Il mercante di pietre, storia intimista su un attentato terroristico della jihad islamica. «Ciò che voglio è restituire il giusto rilievo alla figura storica di Marco d'Aviano, frate taumaturgo e uomo di fede a cui si deve la riuscita degli sforzi diplomatici per formare la Lega Santa, voluta da papa Innocenzo XI, e la successiva vittoria sul campo di battaglia. Non un sacerdote guerrafondaio ma un dotto dalla grande sensibilità storica e politica. Se non ci fosse stato lui a compattare le fila cristiane, oggi forse l’Europa sarebbe assai diversa».
Una scena dell'epica battaglia.
Tutta una carriera contro corrente, quella del regista lombardo (nato a
Seveso nel 1948) che ogni volta che si è messo dietro la macchina da
presa lo ha fatto per puntare l’obiettivo su temi scottanti, episodi
controversi, realtà vere o presunte, ma dalle conseguenze comunque
urticanti. Dopo le storture della guerra partigiana era stata la volta
di Vajont, ricostruzione puntigliosa e toccante dell’esondazione
dell’omonima diga che nel 1963 provocò la morte di duemila persone nel
paese di Longarone («Una tragedia annunciata e non una pura fatalità»,
la versione di Martinelli). Con Piazza delle Cinque Lune aveva poi messo
il dito nella putredine di intrighi sviluppatasi attorno al rapimento e
all’assassinio di Aldo Moro, adombrando complicità e verità meno di
comodo. Carnera – The walking mountain fu l’occasione per mostrare al
pubblico l’abilità tecnica di un cineasta come Martinelli, formatosi con
spot pubblicitari e videoclip ma grande esperto di ottiche e
fotografia: bellissime le immagini un po’ flou dei match sul ring del
gigantesco pugile italiano e non banale il racconto di come la
propaganda fascista dell’epoca riuscì a manipolarlo e a far suo quel
mito.
Quattro anni fa, però, il grosso intoppo: Barbarossa, pellicola
con Rutger Hauer che avrebbe dovuto essere storica ma che il partito di
Bossi volle trasformare in operazione propagandistica, fa flop al
botteghino. Da allora, su Martinelli pesa l’etichetta di cineasta
leghista. Come personaggio gradito alla Lega Nord si dice che sarebbe
anche Marco da Aviano.
«Non diciamo sciocchezze, i leghisti non conoscono Marco», ribatte
Martinelli. «Anzi, si tratta di una figura pressoché sconosciuta anche
per la maggior parte dei credenti. È a questa ignoranza che voglio
porre rimedio». Sarà. Intanto, le polemiche montano. Ed è un peccato,
perché il polverone delle chiacchiere rischia di offuscare le qualità
artistiche di un film che è una importante coproduzione europea. Scene e
costumi sono di sontuosa bellezza, le immagini di suggestiva
spettacolarità e il cast di assoluto livello internazionale: la star
Murray Abraham veste il saio di Marco, il nostro Enrico Lo Verso
impersona Karà Mustafà mentre i polacchi Piotr Adamczyk e Jerzy
Skolimowski interpretano l’imperatore Leopoldo I e re Sobieski.
Come contributi alla formazione di una personale opinione, proponiamo
l’intervento critico di uno storico di chiara fama qual è Franco
Cardini; il punto di vista dell’esperto di cinema della Cei Massimo Giraldi e dell'imam Pallavicini; una bella intervista filmata negli Stati Uniti all’attore
F. Murray Abraham e, naturalmente, il resoconto di un approfondito
faccia a faccia con Renzo Martinelli. Quando si parla di film, il
consiglio è sempre lo stesso: prima vedere, poi giudicare. Nel caso di
11 settembre 1863 vale più che mai.
Maurizio Turrioni
a cura di Paolo Perazzolo