Cardini: ma i turchi non volevano invadere l'Occidente

15/04/2013
Lo storico Franco Cardini.
Lo storico Franco Cardini.

Professor Cardini, dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 il regista Renzo Martinelli rimase colpito dalla corrispondenza storica tra quella data e quella dell’assedio di Vienna (11 settembre 1683). E anche lei, proprio in occasione di quel tragico 11 settembre, pensò di uscire con un instant book sull’argomento che si trasformò poi in un corposo saggio Il turco a Vienna (Laterza) uscito l’anno scorso…
«In realtà fu all’alba del 12 settembre del 1683 che iniziò la battaglia per la liberazione di Vienna, mentre il giorno prima, l’11 settembre, ci fu l’avvicinamento delle truppe polacche e imperiali che dalle colline a Nord di Vienna calarono sull’accampamento turco».

Cosa pensa del tema scelto da Martinelli?
«Ho conosciuto e apprezzato Martinelli come regista del film Vajont, un po’ meno per Barbarossa, opera che mi è spiaciuta per alcune inesattezze storiche. La scenggiatura è stato scritta da Valerio Massimo Manfredi che è uno scrittore affidabile dal punto di vista della storia. In autunno ne discuteremo a Varsavia… non nascondo però che, pur non avendolo ancora visto, ho qualche riserva sull’aspetto ideologico del film, temo che faccia vedere il turco come invasore e fondamentalista».

Marco d’Aviano, il frate cappuccino beatificato da Giovanni Paolo II è stato una figura religiosa di grande spicco, protagonista della salvezza di Vienna.

«Marco d’Aviano nell’assedio ha svolto un ruolo importante, ma che non è immediatamente visibile: il ruolo del predicatore, l’uomo di fiducia dell’imperatore Leopoldo II d’Asburgo e suo confessore personale».

È stata l’ultima crociata dell’Occidente?
«No, l’ultima bolla sull’indulgenza legata ad una guerra è stata emessa da papa Benedetto XV in occasione delle guerre balcaniche: ciò significa che per i cattolici che combattono in una guerra giusta è prevista l’indulgenza plenaria in caso di morte. La dottrina cattolica considera guerra giusta quella di difesa, indetta da un principe legittimamente riconosciuto».

Fu una guerra giusta Vienna?
«Sì. Difensiva e proclamata da un principe legittimo, l’imperatore Lepoldo I d’Austria. Nel diritto canonico le condizioni perché il cristiano partecipi a una guerra è che essa sia giusta, mentre se al di fuori delle azioni militari un soldato compie un atto riprovevole, sia esso un furto o una violenza fuori dal campo di battaglia egli commette un gravissimo peccato mortale. Ma la stessa cosa vale per un musulmano: si consideri jihad (letteralmente "esercitare il massimo sforzo", ndr.) qualunque sforzo gradito a Dio, quindi se un medico musulmano muore per una malattia contagiosa e quell’impegno missionario è considerato da un mullah (leader religioso musulmano, ndr.) jihad, quell’uomo è shaid (martire)».

Una scena del film di Martinelli che racconta la battaglia di Vienna.
Una scena del film di Martinelli che racconta la battaglia di Vienna.

Il sogno dei turchi era davvero di invadere l’Europa? Possiamo dire che Marco d’Aviano e il principe poacco Jan Sobienski la salvarono?
«Salvarono Vienna, pensando legittimamente che, in caso di conquista della città da parte turca, i rapporti di forza dell’Occidente con l’Impero ottomano sarebbero cambiati: ma Vienna non avrebbe potuto costituire una testa di ponte per un attacco all’Europa. Karà Mustafà parte da Istanbul con un esercito di 300 mila uomini, di cui solo una metà combattenti. L’altra metà garantiva i servizi: gli ottomani mangiano carne fresca tutti i giorni, quindi si portano appresso greggi e animali da cortile; si fermano poi tutte le notti in accampamenti in cui sono previsti persino le saune (bagno turco): così non scoppiano epidemie, l’alimentazione è ricca, l’esercito non subisce dissenteria, scabbia e rogna; un accampamento turco odora di zuppa di riso, cipolla e montone e spezie, non così un accampamento occidentale. I turchi in genere non insidiano le popolazione locali, perché hanno da mangiare, sono disciplinati; possono uccidere, impalare, violentare ma non lo fanno ordinariamente».

Pure arrivarono stremati dopo il viaggio nell’inverno 1682-83 e due mesi d’assedio, dal 14 luglio al 12 settembre…
«Fa specie pensare che il gran visir sia partito con l’idea avallata dal sultano di conquistare Vienna. Se volevano davvero assediare una capitale molto a Nord come Vienna, perché affrontare una traversata di tre mesi in terreni umidi come la pianura balcanico-danubiana che nelle mezze stagioni diventano acquitrini dove i cannoni affondano e l’esercito si ammala di malattie polmonari?».

L’esercito ottomano contava sul fattore sorpresa?
«L’impero turco arrivava all’Ungheria, Croazia Slovacchia e Boemia; avrebbero potuto attestarsi a Nord di Buda (l’attuale Budapest) e poi spostarsi di lì… Perché arrivare da così lontano? L’attenzione dell’Europa l’avevano già richiamata comunque: in tutto il mondo cristiano si sapeva di questa grosso esercito in movimento verso Nord e ci si chiedeva il perché. Gli ambasciatori imperiale e veneziani a Istanbul non potevano non sapere. Con 150.000 combattenti e un reparto leggero di artiglieria di campagna puoi al massimo attestarti a Vienna: lo scopo immediato non poteva essere quello di invadere la cristianità, ma solo di fare propaganda».

Quali erano le mire espansionistiche dell’impero ottomano in quegli anni?
«È evidente che siamo in un periodo di forte spinta aggressiva ed espansiva nei confronti dell’Europa: l’impero ottomano è una potenza politico militare che vuole espandersi per mare nei paesi affacciati sul Mediterraneo e per terra nei Balcani fino ai confini con lo stato di Venezia. Ma il sultano deve decidere quale fronte attaccare, terrestre o navale. Così fu la guerra di Cipro all’interno di cui c’è Lepanto; oppure per terra ed ecco Belgrado, Budapest, Vienna. Ma il sultano non teme l’Occidente, il suo vero nemico è la Persia verso cui deve difendersi e non può espandersi».

Che fine fece Karà Mustafà?
«Guidò molto bene la ritirata da Vienna, ma poi morì strangolato per ordine del sultano a Buda il giorno di Natale del 1683».

Cosa succede dopo la vittoria di Vienna?

«Vienna rappresenta il momento di massima espansione dell’impero ottomano, poi l’Europa riconquista Buda nel 1686 (dopo aver fallito nel 1684) e Marco d’Aviano è presente; la linea di confine si attesta poi intorno alla città di Belgrado, presa, persa e poi definitivamente liberata nel Settecento».

Quali sono i rapporto di forza in Occidente rispetto all’impero ottomano?
«Il sultano sa che deve stare attento alle reazione dell’Occidente, in cui vale il principio della scacchiera, non della solidarietà religiosa… Il sultano può contare sul re di Francia che ha gli stessi suoi nemici: Spagna, Italia, Germania, stati federali e principati cattolici. Il re francese Luigi XIV, che insidia la frontiere tedesca e occupa Strasburgo, da un lato fomenta i turchi e dall’altro accusa l’imperatore di non respingerli, perché vuole che l’imperatore difenda i Balcani e abbandoni le pretese sul confine con la Francia».

San Pio X ha reso universali due icone mariane, due feste e due santuari legati a due vittorie della cristianità contro i turchi estendendole a tutta la Chiesa universale: la festa del Nome di Maria il 12 settembre per celebrare la vittoria di Vienna (Madonna di Loreto) e il 7 ottobre per la vittoria di Lepanto (Madonna del Rosario di Pompei). Che significato ha questa duplice consacrazione?

«Lepanto e Vienna sono due feste europee e cristiane, di una certa Europa e di una certa cristianità, veneziana e asburgica. Pio X le istituisce nel 1913 e ha un senso: ci sono le guerre balcaniche, ci sono delle forti tensioni, nasce il pericolo laicista e modernista, il papa è prigioniero in Vaticano; così un papa veneto, che è diventato tale anche grazie all’imperatore Francesco Giuseppe che ha esercitato il suo diritto di veto bloccando il cardinal Rampolla più aperto al movimento modernista, noto per essere filo francese mentre Pio X è un veneto ed è filo austriaco: non a caso istituisce due feste che celebrano due vittorie contro i turchi».

Alfredo Tradigo

a cura di Paolo Perazzolo
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