Cei: l'unica via è il dialogo con i musulmani

15/04/2013
Massimo Giraldi, segretario della Commisione nazionale di valutazione dei film della Cei.
Massimo Giraldi, segretario della Commisione nazionale di valutazione dei film della Cei.

«Consigliabile/problematico/adatto per dibattiti», questo, in estrema sintesi, il giudizio su 11 settembre 1683, l’ultimo film di Renzo Martinelli da parte della Commissione nazionale valutazione film della Cei. «Dal punto di vista cinematografico», afferma Massimo Giraldi, segretario della commissione incaricata di offrire una valutazione pastorale su ogni pellicola, «il film non è impeccabile ma offre diversi spunti di riflessione, a cominciare dal tema dell’incontro-scontro fra culture e religioni diverse, e soprattutto racconta un avvenimento storico cruciale per la storia d’Europa anche se dimenticato».

Siamo a Vienna: dopo due mesi d’assedio il Gran Visir Kara Mustafa, alla testa di un esercito di trecentomila uomini, vuole conquistare il cuore dell’Europa, la “mela d’oro”, e da lì muovere verso la culla della cristianità, Roma. A sbarrargli la strada, però, c’è un frate cappuccino friulano, Marco d’Aviano, al secolo Carlo Domenico Cristofori, che convince papa Innocenzo XI, i principi e l’imperatore d’Austria Leopoldo I a lasciare il comando dei loro eserciti al re di Polonia Jan III Sobieski la cui cavalleria si rivelerà decisiva per far vincere la battaglia alla Lega Santa e sventare le mire espansionistiche ottomane. Il film racconta la battaglia di Vienna attraverso lo sguardo ardimentoso e profondamente spirituale di Marco d’Aviano, predicatore nelle corti d’Europa, taumaturgo, consigliere di Leopoldo I e artefice della Lega Santa. «Contemplativo itinerante e profeta disarmato della misericordia divina», lo descriverà Giovanni Paolo II che lo ha proclamato beato il 27 aprile 2003. E che a questa guerra si attribuisse un significato religioso lo dimostra il fatto che papa Innocenzo XI proclamò il 12 settembre la festa del Santissimo Nome di Maria, alla cui intercessione era da attribuire la vittoria delle truppe cristiane.

Oltre a narrare ciò che è accaduto, il film inevitabilmente vuole riflettere sul rapporto tra Islam e Cristianesimo. Da questo punto di vista la convince? «È sempre rischioso e difficile raccontare un evento storico con lo sguardo e la sensibilità dell’oggi. Nel film, ad un certo punto, c’è un dibattito serrato tra Marco d’Aviano e Kara Mustafa (Enrico Lo Verso) che appare un po’ forzato. Entrambi usano toni molto forti e marcati per delineare, ognuno, la propria identità religiosa. Toni, peraltro, estranei alla sensibilità attuale. Se allora c’era crudezza allora bisogna ribadire, e questo il film lo fa, che oggi bisogna proseguire più che mai sulla strada del dialogo con l’Islam e lasciare da parte le guerre».

Un momento della storica battaglia.
Un momento della storica battaglia.

Teme polemiche dal mondo islamico?
«Sinceramente no. Se poi uno vuole vederci chissà cosa e alimentare conflitti a tutti i costi è un altro discorso. Paradossalmente, questa pellicola può aiutare a capire più noi stessi come europei e indicare su quali basi e perché l’Europa oggi debba stare unita non solo dal punto di vista economico ma anche spirituale e culturale».

Dal film emerge abbastanza divisa.
 «E questo è un aggancio molto forte alla situazione attuale. Di fronte alla minaccia militare islamica i sovrani europei, tutti accomunati da una profonda identità cristiana, non riuscirono ad organizzarsi risultando inconcludenti e poco reattivi. Qui si staglia la grande figura di Marco d’Aviano, un umile mistico che riuscì a tenere la barra dritta. Non dobbiamo dimenticare che all’epoca la guerra era considerata lo strumento principale per risolvere i conflitti internazionali. Il rifiuto delle armi è un’acquisizione piuttosto recente».

Il film “sdogana” le guerre di religione?
 «Fa l’esatto contrario. La scena finale, che idealmente si ricollega al precedente faccia a faccia tra il frate e Kara Mustafa, mostrando la disperazione del primo, chino sul campo di battaglia pieno di cadaveri, e il condottiero musulmano, sconfitto, che muore strangolato, lancia un messaggio molto chiaro sull’assurdità e l’insensatezza di tutte le guerre, a cominciare da quelle religiose. Il regista Martinelli ricostruisce quegli eventi per dire che non devono accadere più in futuro».

Antonio Sanfrancesco

a cura di Paolo Perazzolo
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