24/10/2011
"Autoritratto" di Paul Cézanne, in mostra a Milano.
Burbero e scontroso come un eremita,
la lunga barba scarmigliata, lo sguardo
concentrato sulla pittura con lo slancio
di un missionario. Paul Cézanne
(1839-1906) è senza dubbio il padre della
pittura moderna, precursore di cubismo e
astrattismo. La mostra che apre in questi giorni
a Milano ci propone un punto di vista inedito
sulle sue opere, un viaggio attraverso i luoghi
dove ha dipinto. Si tratta di un pellegrinaggio
non solo esteriore, che ci invita a entrare
in quella scatola magica che è l’atélier dove
lo sguardo di Cézanne si muove, guidato
dall’altra facoltà che fa grande un artista:
la mente, l’intelligenza, la ragione.
Scrisse una volta l’artista: «Ci sono due
cose in un pittore, l’occhio e il cervello. Si
deve lavorare per lo sviluppo di entrambi:
dell’occhio attraverso l’osservazione della
natura, del cervello attraverso la logica
delle sensazioni organizzate, che forniscono
i mezzi di espressione». Il primo atélier del
pittore, nativo di Aix-en-Provence, nella Francia
del Sud, è stato il salone al piano terreno
della casa di campagna della sua famiglia,
al Jas de Bouffan. Qui nascono una serie
di vedute dell’edificio con i suoi bei volumi
accarezzati dal sole, il prato ombreggiato
dai castagni e cinto da un muretto di pietra
che corre intorno alla proprietà come il confine
di un monastero.
"Grande pino e terre rosse", una delle opere di Cézanne esposte a Palazzo Reale a Milano.
Dopo essersi affermato come
pittore, Cézanne ritorna in città e si trasferisce
nella luminosa mansarda ricavata al terzo piano
della casa paterna. Qui concepisce quelle
nature morte che sono autentici “manifesti”
della sua pittura, una pittura che esprime
la verità delle cose, tanto che il pittore
americano William Congdon, allievo di
Pollok, considerava più religiose le mele
di Cézanne che le Madonne di Raffaello. In
effetti, nella pittura di Cézanne, la ricerca della
verità è così forte da indurlo a ricostruire,
attraverso il colore e la luce, un nuova realtà.
Un visione fondata non più sul disegno, ma su
una pura pittura, “pensata”, fatta di tocchi
essenziali di colore giustapposti, minuziosamente
calcolati, tanto da indurlo a fermarsi nel punto
esatto in cui il risultato era raggiunto; senza
preoccuparsi di lasciare scoperte alcune parti
della tela, con un effetto di “non-finito” che
ricorda Michelangelo.
E il paragone regge,
se pensiamo che quei tocchi di pennello sono
come colpi di scalpello, costruiscono una solida
visione pittorica della realtà che, per Cézanne,
era fondata sul cubo, il cilindro e la sfera.
A Bibémus, l’artista dipinge in un semplice
capanno-atélier tra le rocce e il bosco,
e di quelle rocce sembra volere individuare
la natura geologica, la struttura nascosta, per
solidificare poi con quella stessa materia le
fronde degli alberi, rese leggere e friabili dalla
luce. Il viaggio fra i “luoghi” di Cézanne continua
sulle rive del fiume Marna e davanti al golfo
dell’Estaque (Marsiglia), dove l’acqua blu
cobalto sotto le sue pennellate, come sotto
il maestrale, diventa dura lavagna, superficie
convessa attratta dalla calamita del cielo.
L’ultimo atélier di Cézanne è quello di Lauves,
progettato e fatto costruire appositamente
per vedere da un lato la sua città natale di
Aix-en-Provence e dall’altro l’amata montagna
Saint Victoire, soggetti tra i preferiti,
replicati almeno una ventina di volte.
DOVE & QUANDO
"Cézanne e les atélier du Midi", Milano, Palzzzo reale, fino al 26 febbraio: www.comune.milano.it
Alfredo Tradigo
a cura di Paolo Perazzolo