23/02/2013
La prima edizione della Guida Michelin.
Ci sono cose che, pur non avendo mai ricevuto riconoscimenti ufficiali, assumono nel tempo lo status di istituzione, di simbolo di un Paese, o icona di un'epoca. E' il caso, per la Francia, di un libriccino rosso sfogliato ogni giorno da decine di migliaia di persone amanti della buona cucina: la guida Michelin. Era il 1900 quando i fratelli Michelin, produttori di pneumatici a Clermont Ferrand, decisero di pubblicare una guida per facilitare la mobilità dei circa tremila automobilisti che a quel tempo scorrazzavano sul suolo francese. Il concetto di "bouchon", ingorgo, non era ancora stato inventato, e nemmeno quello di "stress al volante". Cosa già esisteva però, era il desiderio di trovare stazioni di servizio accoglienti, e di scovare qualche buon indirizzo gastronomico per rifocillarsi dopo ore di strada. La Guida Michelin era nata. Nell'elegante boulevard Pereire a Parigi, esisteva persino un Bureau des Itineraires, un ufficio degli itinerari, dove chi lo desiderava inviava il percorso che avrebbe dovuto fare in auto, e un plotone di efficientissime segretarie rispediva l'itinerario completo di indirizzi di ristoranti, di hotel, di mete turistiche e di tutto quanto di piacevole si trovava per quella via. In capo a qualche anno, l'Ufficio itinerari venne sepolto dalle richieste e, vittima del proprio successo, fu costretto a chiudere.
Ma la guida continuò il suo cammino, divenne pian piano oggetto di culto, certe edizioni diventarono pezzi da collezione. Lo sa bene il signor Denis Rivière, che a Le Havre, in Normandia, è presidente dell'Associazione Collezionisti Michelin. Casa sua è una sorta di tempio ludico per la venerazione del Bibendum, il simpatico omino paffuto simbolo della società. Tra l'altro, sapete perché Bibendum é bianco, pur essendo gli pneumatici scuri? Perché quest'ultimi, una volta immagazzinati, erano protetti da seta bianca. Ecco. Monsieur Rivière é una miniera di informazioni riguardo alla storia della leggendaria guida rossa. Stringe gelosamente fra le mani un'edizione del 1944, sulla copertina sta scritto "for official use only". Già, perché questa guida, ormai rarissima, é un'edizione speciale stampata apposta per i soldati Alleati sbarcati in Normandia, é una copia di quella del 1939, necessaria agli ufficiali per capire le strade da percorrere in una regione distrutta e sfigurata dai bombardamenti. E' sempre il signor Rivière a spiegare perché a un certo punto, nel 1920, la guida, fino ad allora distribuita gratuitamente, diventò a pagamento: André Michelin si fermò in una stazione di servizio e notò che un tavolo traballante era tenuto dritto grazie a una pila di guide Michelin messe sotto le gambe. "Nessuno apprezza ciò che é gratuito" avrebbe mugugnato. E da allora, a causa di un meccanico irriguardoso e di un tavolo claudicante, il pubblico sborsò un bel po' di franchi per portarsi la guida a casa.
Lo chef francese Paul Bocuse. Il suo ristorante ha le "tre stelle" della guida Michelin dal 1965.
Oggi, la direttrice della guida Michelin è una donna, si chiama Juliane
Caspar, è giovane, magra e tedesca: la perfetta antitesi del critico
gastronomico secondo lo stereotipo. Niente ventre prominente, niente
origini nella terra del foie gras. Juliane ha fatto e fa tuttora
l'ispettrice per Michelin, fa parte cioé del gruppo di ispettori (meno
di una ventina) che ogni anno, in Francia, si siedono a tavola 250 volte
per gustare nell'anonimato il meglio della gastronomia d'oltralpe, per
stendere poi rapporti al vetriolo, oppure per onorare con le
ambitissime tre stelle i migliori chef. Col tempo, si sono affinati i
criteri in base ai quali le stelle vengono attribuite. Sono cinque: la
qualità dei prodotti scelti in cucina, l'abilità nelle tecniche di
preparazione e di cottura, la "personalità" del menu, il rapporto fra
qualità e prezzo e, importantissima, la regolarità dell'eccellenza nel
servizio. Vi sono chef di talento che un giorno sfornano meraviglie e il
giorno dopo cucinano pietanze più ordinarie; questi non potranno avere
le famose stelle. Un ristorante stellato risponde di un rigore quasi
militare, deve essere ineccepibile, tutti i giorni dell'anno.
Per questo
ogni tanto scende la ghigliottina su teste coronate della gastronomia
quali Hélène Darroze, chef del londinese Connaught, che nel suo
ristorante parigino ha perso le tre stelle. Qualche anno fa fu Alain
Solivères, chef del prestigiosissimo Taillevent ad essere privato, con
gran clamore, di una stella, mentre nello stesso tempo, lo chef del
ristorante Bristol, il barbuto bretone Eric Frechon ne conquistava tre e
la sua cucina veniva assediata dalle televisioni di tutto il mondo. Sí,
perché le stelle Michelin sono diventate prima di tutto un fatto
mediatico. Chi dice stelle, dice cucina francese e gli chef stellati
diventano protagonisti assoluti, star internazionali, attori freschi di
Oscar. Ci sono mostri sacri come Paul Bocuse, che ha ininterrottamente
tre stelle dal 1965. Ci sono leggende come Eugenie Brazier, Marie
Bourgeois, prime donne chef a ricevere le tre stelle, e personaggi
citati dalla penna di giornalisti e romanzieri, come Fernand Point, che
durante la Guerra chiuse il suo ristorante a tre stelle piuttosto di
servire i gerarchi nazisti. Anche all'estero le stelle sono il "must" dei
riconoscimenti. Tokyo é la città con più ristoranti stellati davanti a
Parigi. Che affronto. Eppure è il destino delle stelle, quello di
superare i confini nazionali. Le tre stelle sono sinonimo di lusso e
eccellenza nel mondo intero. Sono lontani i tempi in cui le guide rosse
servivano per stabilizzare tavoli traballanti.
Eva Morletto