24/10/2012
(Corbis)
L'erosione delle barriere coralline non c'entra. Alle Carteret Islands, un minuscolo arcipelago appartenente alla Papua Nuova Guinea e situato in mezzo all'Oceano Pacifico, il problema non è la mancanza di pesce con cui sfamarsi. Gli abitanti di queste isole, quasi invisibili sulla carta geografica, rischiano di diventare famosi per un altro primato. La tv americana Cnn e altri media internazionali li hanno già definiti i primi rifugiati ambientali al mondo.
Di fatto sono le prime persone costrette ad abbandonare le proprie terre a causa dei cambiamenti climatici. Su questi atolli grandi in totale poco più di mezzo chilometro, riscaldamento climatico significa innanzitutto innalzamento del livello del mare. Una vera tragedia per queste bocche di vulcani non totalmente sommerse, che oggi emergono dall'acqua di circa un metro e mezzo. Ora il livello del mare si sta alzando e i terreni delle isole, bagnati dall'acqua salata, stanno iniziando a perdere fertilità. Secondo diversi esperti potrebbero presto diventare totalmente incoltivabili. Il destino delle Carteret, chiamate così in memoria del navigatore britannico Philip Carteret che le scoprì nel 1767, sembra dunque ineluttabile.
Non a caso già nel 2003 il governo della Papua Nuova Guinea riconobbe la necessità di evacuare totalmente i 2.500 abitanti dell'arcipelago. Dalle dichiarazioni di intenti sono però già passati diversi anni. Nel 2009 le prime cinque famiglie furono trasferite a circa 100 chilometri da casa, sull'isola di Bouganville, che rispetto alle Carteret è molto più grande e ben più alta sul livello del mare, con un picco massimo di 2.400 metri. Sembrava l'inizio dell'esodo di massa, invece finora quasi tutti gli abitanti delle minuscole isole sono rimasti nella loro terra natale.
Motivo: la mancanza dei fondi necessari per il ricollocamento delle persone. Peccato che intanto le cose stiano gradualmente peggiorando, e la vita degli abitanti stia diventando sempre più complicata. Lo spiega Ursula Rakova, nata sulle Carteret e direttrice della Tulele Peisa, l'organizzazione incaricata dal governo della Papua Nuova Guinea di gestire il trasferimento degli abitanti delle isole: “Qui già ora è molto difficile praticare colture alimentari. La produzione di cibo è sempre più scarsa e le riserve diminuiscono. A breve non sarà più possibile produrre dalla terra alcun alimento.
Una ricerca scientifica presentata in Germania ha previsto che le isole saranno completamente inabitate entro il 2045, e questo avverrà perché allora sarà impossibile coltivare qualsiasi cosa. Resterà la sabbia, forse qualche albero di cocco, ma le persone che vivono qui non saranno più in grado di sostentarsi”.
A fine settembre è partito verso Bounganville un secondo gruppo di profughi: sette famiglie, per un totale di 87 persone, hanno salutato forse per l'ultima volta la loro terra e vivono ora su un terreno donato dalla Chiesa Cattolica. “E' un appezzamento di 71 ettari, e noi stiamo dando a ciascuna famiglia un ettaro da coltivare”, spiega Rakova, secondo cui il cambiamento a cui stanno andando incontro i suoi concittadini provocherà sicuramente anche dei pesanti contraccolpi culturali: “Gli abitanti delle Carteret sono intimamente connessi alle loro isole, sono pescatori da generazioni costretti a trasformarsi in breve tempo in agricoltori. Abbandonare le isole significa distruggere un legame culturale fortissimo. Ad ogni modo il trasferimento è indispensabile visto che qui sta diventando impossibile vivere: ogni giorno il mare guadagna un po' del terreno che fino ad oggi ci ha permesso di sostentarci”.
Stefano Vergine