28
apr
Guardare in faccia la propria morte
Morris Schwartz con Mitch Albom nella fase terminale della sua malattia.
Si può iniziare questa storia con un dialogo, esplicito fino alla brutalità, tra un medico e un paziente. Dopo controlli accurati, il medico comunica al paziente che è affetto da una malattia degenerativa del sistema neurologico che non perdona (SLA, ovvero sclerosi laterale amiotrofica). Una malattia a rapida progressione, di cui non si conosce la cura.
“E’ terminale?”
“Sì”.
“E così morirò?”
“Purtroppo sì”, rispose il dottore, “me ne rammarico molto”.
Non è superfluo dire che questo colloquio si svolge negli Stati Uniti. Sappiamo quanto è diversa la comunicazione tra medici e pazienti rispetto a quella a cui noi siamo abituati, alle nostre latitudini. Fino a non molto tempo fa succedeva che i medici, piuttosto che dare un’informazione così diretta, prendessero la strada della reticenza; quando non decidevano di ripiegare sulla menzogna (ma la “verità” la riservavano ai familiari, dando vita a una vera e propria congiura del silenzio con la persona malata).
Le intenzioni erano lodevoli: si voleva proteggere il malato da una informazione traumatizzante. Ma a quale prezzo? Sottraendogli la verità, lo si privava della possibilità di assumere la regia della parte finale della propria vita. Così non è andata nella vicenda che stiamo raccontando. Il malato, che era il professor Morris Schwartz, decide di vivere la sua malattia terminale in modo pubblico. Un suo ex allievo all’università, che dopo la laurea aveva perduto ogni contatto con il professore, decide di andarlo a trovare (intraprendendo un viaggio in aereo) ogni settimana. E in ogni loro incontro parlano di grandi temi: le emozioni, la famiglia, la paura di invecchiare, i soldi, l’amore. E la morte, naturalmente.
Quei colloqui sono ora diventati un libro: Mitch Albom, I miei martedì col professore, BUR. A più di un decennio dalla morte, il professore continua a insegnare con grande successo: l’edizione italiana del libro ha raggiunto la quattordicesima edizione. Un esito della malattia che sarebbe stato impossibile, se il medico avesse deciso di mentire al paziente, per risparmiargli lo shock di guardare in faccia la propria morte.
Pubblicato il 28 aprile 2011 - Commenti (0)