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Sei malato? Sei colpevole
La scrittrice americana Susan Sontag.
Tra le parole che intercorrono tra chi è malato e chi offre la cura, nessuna è più pesante di quella che addossa la colpa al malato stesso. “Malato? Sei colpevole!”. Sembrerebbe una storia vecchia, da relegare nelle fasi più arcaiche della cultura. Sappiamo con quanto vigore nella tradizione ebraico-cristiana si è cercato di distanziarsi dalla rappresentazione semplicistica secondo cui il malato è punito nel corpo per le sue colpe: era la tesi degli “amici teologi” di Giobbe e anche quella dei rabbini che, ponendo il cieco nato di fronte a Gesù, gli chiedono se avesse peccato lui o si suoi genitori per essere nato cieco (Giov. 9,2). Se nella visione religiosa la malattia è “segno”, lo è di qualche cosa d’altro, non della colpa di chi ne è colpito.
Ma non è così semplice liberarsi della terribile associazione tra male fisico e senso di colpa. Talvolta è evocata dal malato stesso con la domanda: “Che cosa ho fatto per meritarmi questo?”. Le agenzie colpevolizzanti nella nostra cultura non sono primariamente quelle religiose, ma laiche. Per esempio il pensiero psico-somatico. E’ lucidissima l’analisi che la scrittrice Susan Sontag ha dedicato alle spiegazioni psicologiche del cancro: “Le teorie psicologiche della malattia sono un mezzo poderoso di gettare la colpa sul malato. Spiegare ai pazienti che sono loro stessi la causa, involontaria, della propria malattia significa anche convincerli che se la sono meritata” (S. Sontag: Malattia come metafora).
Silvia Bonino, una docente di Psicologia che ha scritto un libro sulla malattia che l’ha colpita, considera non concluso il compito culturale di contrastare le colpevolizzazioni del malato che si ammantano di psicologia. Ricorda una donna che combatteva faticosamente contro un cancro, assalita da un’angoscia profondissima quando un’assistente sociale la sollecitava a interrogarsi per capire “perché se l’era fatto venire” (S. Bonino, Mille fili mi legano qui. Vivere la malattia). La colpevolizzazione si presenta come una seducente scorciatoia per rispondere alle domande che ci poniamo sulla malattia. Può darsi che dia le risposte che amiamo ascoltare. Ma le domande non sono quelle giuste.
Pubblicato il 04 marzo 2011 - Commenti (1)