13/07/2012
La problematica del disagio psicologico
che la scuola affronta è ben più
ampia della patologia “certificata”.
Per il successo formativo allora, quali
buone pratiche educative devono arricchire
il tradizionale mandato della
trasmissione del sapere, per formare
cittadini attrezzati a vivere in una società
fondata sulla conoscenza e in
contesti di vita sempre più complessi
e difficili da interpretare?
Alla L. 517/77 è seguita una messe
di interventi normativi per calare nella
realtà affermazioni di principio e dichiarazioni
ideali, per attrezzare la
scuola al riscatto culturale e sociale
anche per i più svantaggiati. Nelle
produzioni del ministero della Pubblica Istruzione, del ministero della Salute,
delle Regioni, delle Aziende sanitarie,
delle Province, dei Comuni, degli
Uffici scolastici regionali e provinciali,
delle Istituzioni scolastiche autonome,
non è facile rintracciare gli aspetti
innovativi, e l’effettivo processo di
integrazione. Nel 2009 appaiono le
“Linee Guida” per l’integrazione scolastica
degli alunni disabili, con
l’obiettivo di “rilanciare il tema in
questione, punto forte della tradizione
pedagogica italiana”. Nella prima
parte si svolge l’analisi dei cambiamenti
culturali della storia legislativa.
In tutti i documenti si parte dai diritti
costituzionali di libertà e uguaglianza,
dalla L. 118 del 1971 che comincia
a parlare di inserimento nelle
classi comuni, per trovare nella citata
L. 517/77 indicazioni più concrete:
docente di sostegno, responsabilità
dell’intero Consiglio
di classe. Nel
decennio successivo
(1987) la sentenza
n. 215 della
Corte Costituzionale
sancisce
il diritto pieno e
incondizionato
di tutti i disabili,
qualunque ne sia
la minorazione o
il grado di complessità,
alla frequenza
in tutti i livelli di scuola.
La CM del 1988 recepisce la sentenza
della CC, e diviene riferimento fondamentale
per la normativa successiva,
con indicazioni attive per realizzare
«l’effettività del diritto allo studio
di alunni con handicap di qualunque
tipologia in ogni ordine e grado di
scuola». Si istituiscono: gruppi di lavoro
nei Consigli scolastici distrettuali
con UU.SS.LL., Enti Locali rappresentanti
di associazioni ed enti del territorio,
profilo dinamico funzionale, presidi
assistenziali; la scuola secondaria
non può limitarsi alla semplice “socializzazione
in presenza”, ma deve garantire
di regola apprendimenti rapportabili
all’indirizzo di studi; se il livello
è troppo lontano, sarà riconosciuto
da un attestato di frequenza
senza effetti legali, che può servire
per la formazione professionale.
La Legge quadro 104/1992 riorganizza
tutta la normativa precedente, e
diviene il nuovo punto di riferimento.
Si legge (art.12, c.3): «L’integrazione
scolastica ha come obiettivo lo sviluppo
delle potenzialità della persona
handicappata nell’apprendimento,
nella comunicazione, nelle relazioni
e nella socializzazione»; e (c.4):
«L’esercizio del diritto all’educazione
e all’istruzione non può essere impedito
da difficoltà di apprendimento
né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità
connesse all’handicap».
Nel 1993, la
Convenzione
Onu sposta il focus
dal deficit e
dalla minorazione
alla dimensione
sociale e al
contesto di vita,
determinante
per l’esperienza
che ciascuno fa
della propria
condizione di salute.
«La disabilità
è il risultato dell’interazione tra persone
con menomazioni e barriere
comportamentali e ambientali, che
impediscono la loro piena ed effettiva
partecipazione alla società su base di
uguaglianza con gli altri»
(Preambolo,
punto e).
Si parla di “accomodamento ragionevole”
per quanto il contesto può attivare,
in merito ad ambienti, procedure,
strumenti educativi e ausili, per
una piena inclusione sociale. Nel
1971 la Dichiarazione dell’Onu parlava
di “sub-normale mentale”.
Emanuela Bittanti