14/03/2011
Ci apparve necessario, per una corretta conduzione delle campagne preventive, provare a identificare gli antidoti di cui sono dotati gli adolescenti che escono immuni dall’epidemia di droghe “leggere”. Ne abbiamo scovato un piccolo numero, con difficoltà, ma alla fine hanno confessato che non l’avevano mai fatto e sono venuti a parlarne. Ognuno aveva le proprie ragioni, ma ci è sembrato che la maggior parte di loro riconducesse le ragioni del “no” al fatto che nel momento della scelta era come se ricordassero quell’istante, prima di uscire di casa, in cui il loro sguardo aveva incrociato quello del padre e s’erano intesi; avevano un patto di fiducia, un’alleanza, un progetto condiviso. Hanno detto di “no” non per paura del castigo, non per un sentimento di colpa, ma per non rovinare una relazione che su quel punto andava bene, dove c’era intesa; non erano queste le loro parole ma era chiaro che si riferivano all’etica della responsabilità affettiva e relazionale.
Questa minuscola “ricerchina personale” si è rivelata di grande utilità soprattutto nella relazione con tanti altri ragazzi che invece hanno ampiamente superato la “prova” e non riescono più a smettere. Sapevamo già da tempo che la funzione del padre in adolescenza è cruciale, e che il problema è come svegliarlo quando invece è lontano, e del fumo nemmeno si accorge o finge di nulla. Mi è sembrata interessante l’ipotesi che l’obiettivo educativo, durante l’adolescenza dei figli, possa essere quello di essere presenti nel momento della decisione; partecipare al processo decisionale pur essendo fisicamente assenti.
Gustavo Pietropolli Charmet e Loredana Cirillo