01/02/2011
Le storie di sangue sono drammatiche e tragiche.
Quando, poi, il teatro di un omicidio è un contesto
familiare, allora i contorni del fattaccio diventano
ancora più emblematici e, mediaticamente parlando,
accattivanti. A questo tragico e cinico filone si può
ascrivere a pieno titolo la vicenda di Sarah Scazzi, la
quindicenne di Avetrana scomparsa a fine agosto e del
cui assassinio sono stati accusati prima lo zio Michele
Misseri e poi la cugina Sabrina, figlia di quest’ultimo.
La vicenda è emblematica non soltanto della degenerativa
tendenza dei media a speculare sulle tragedie, ma
anche di un certo tipo di rappresentazione dei legami familiari.
Tra gli elementi che hanno portato la vicenda alla
ribalta mediatica per lunghe settimane, due meritano
una sottolineatura specifica. Il primo ha a che fare con
quel perverso “fascino del male” che catalizza l’attenzione
popolare. Il secondo è lo sfondo affettivo familiare
che è stato teatro dell’assassinio, caratterizzato da legami
parentali ambigui. È un filone che coinvolge i destinatari
per quel meccanismo di empatia che spesso scatta
di fronte
Marco Deriu