10/11/2010
“Per ogni anno che trascorre in istituto un bambino accumula un ritardo di tre mesi in termini di crescita fisica, sviluppo psicologico e cognitivo”. Rosa Rosnati, dell’Università Cattolica di Milano, ha aperto il seminario Famiglia Affido e Adozione, tenutosi nell’ambito della Conferenza nazionale della famiglia, con uno sguardo all’adozione come fattore di recupero della crescita fisica ed emotiva del bambino abbandonato.
Partendo dalla letteratura internazionale e dalle ricerche degli ultimi due decenni, si è rilevato che la maggior parte dei bambini adottati manifesta livelli adeguati di adattamento, pur avendo più probabilità di mostrare problemi emotivi e comportamentali rispetto ai bambini di famiglie non adottive. Tuttavia allo stesso tempo i piccoli mostrano un grande recupero rispetto ai bambini ancora in attesa di adozione che vivono in istituto. Le aree di svantaggio rispetto ai coetanei non adottati sono più evidenti nelle adozioni nazionali rispetto a quelle internazionali e crescono con l’aumentare dell’età in cui avviene l’inserimento in famiglia, che oggi in Italia si attesta intorno ai 5,9 anni, ai di sopra degli standard europei.
Interessante anche l’analisi delle relazioni familiari: i genitori adottivi manifestano uno stress minore nel crescere i figli, vivono meno ansie, presentano una maggiore soddisfazione nelle relazioni familiari e tendono a investire più risorse, sia personali sia economiche. In particolare i padri adottivi vivono una migliore qualità nella relazione di coppia, un più alto livello di benessere individuale e, da un’indagine condotta sugli adolescenti adottati, sono percepiti dai figli come più vicini, più in grado di fornire un supporto adeguato.
Anche la coppia trae benefici dall’adozione, in particolare in termini di livelli maggiori di soddisfazione coniugale e di inferiore stress genitoriale. Anche perché, “si tende ad attribuire la causa dei problemi del bambino all’esterno, alle sue esperienze pregresse, proteggendo la relazione di coppia”, riferisce Rosnati. E’ stata infine ricordata l’importanza di valorizzare l’identità etnica del bambino, nel caso sia differente da quella della famiglia adottiva, costruendo una forte appartenenza familiare, senza però voler cancellare sua storia.
Il seminario è proseguito, poi, con l’intervento di Paola Milani, dell’Università di Padova, che ha invece affrontato il tema dell’affido, fenomeno in continuo aumento: dal 1999, infatti, il ricorso agli affidi familiari è aumentato del 65% e ha superato la sua storica minorità rispetto ai collocamenti in comunità (dati 2007). Tra i problemi emersi: “La forte disomogeneità tra le regioni d’Italia, una frammentazione notevole nell’organizzazione dei servizi e nel modo in cui sono realizzati i processi di affido”.
Necessario appare, pertanto, “estendere e condividere conoscenza, esperienze e pratiche con tuti i soggetti che si occupano di protezione e cura in tutti gli ambienti territoriali; passare da un disparità di accesso, legata al domicilio del minore, a una pari opportunità e a processi uniformi in tutto il territorio; individuare delle linee guida, modelli e strumenti di lavoro omogenei ed efficaci.
Con l'ultimo intervento del seminario Pasquale Andria, presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno, sono arrivate le proposte legislative: in primo luogo "un riordino complessivo della materia nel segno dell’unificazione, con un unico giudice specializzato nella tematiche della famiglia" e poi la necessità di "garantire livelli essenziali di prestazioni di sostegno alla genitorialità ragionando non solo in termini di costi e di spesa ma anche tenendo conto della tipologia di problematiche da affrontare”.
Maria Galelli