Aborto, nuovi attacchi alla vita

Tra crisi economica, paura dell’handicap e viaggi organizzati, l'interruzione volontaria di gravidanza è una piaga attualissima. Che tende ad assumere tratti raccapriccianti.

La paura dell'handicap

04/09/2012

Ad Ottawa, invece, la Canadian Medical Association (la più autorevole associazione dei medici canadesi che riunisce al suo interno ben 76.000 membri), ha approvato, all’incirca tre settimane fa, un provvedimento che mira a sostenere esplicitamente l’attuale posizione contenuta nel Codice penale, secondo il quale si diventa esseri umani solo dopo la nascita. Questa definizione, dunque, non riterrebbe “umana” la vita che si sviluppa e cresce nel calore del grembo materno. Una vera assurdità. L’approvazione con voto è stata il frutto del Consiglio annuale generale dell’associazione, il cui scopo dichiarato mirava proprio a prevenire la riapertura del dibattito sull’aborto, consentito in Canada, dal 1988, per tutto il decorso della gravidanza. Il punto cruciale, e senza dubbio più discusso e controverso, riguarda la spiacevole ambiguità della definizione, secondo cui per la legge, “l’essere umano è una persona nata viva”.

Questo provvedimento è stato aspramente criticato dai Canadian Physicians for life che hanno cercato di far notare la base di ipocrisia su cui si muove, dato che “ogni medico sa che il nascituro è un essere umano vivente”. Tuttavia lo scorso aprile, Stephen Woodworth, deputato conservatore, ha presentato una mozione alla Camera dei Comuni del Parlamento federale di Ottawa per domandare che venga stabilito per legge che “l’embrione umano è un essere vivente”, e così tutelare la vita di chi è ancora in grembo!  

Non meno allarmante è ciò che si sta verificando in Germania. Qui, dallo scorso 20 agosto, è stato messo in commercio un particolare “test del sangue” costruito appositamente con l’obiettivo di diagnosticare, durante la gravidanza, la presenza di un’eventuale sindrome di Down nel nascituro. L’ingresso di questo test nel mercato tedesco è stato accompagnato da una violenta polemica che ha finito per coinvolgere il mondo dell’associazionismo, quello religioso e anche il Governo. Esempio ne è, innanzitutto, l’intervento di Hubert Hueppe, delegato alla tutela dei disabili del Bundesregierung, che ha richiesto il “divieto” assoluto del test, il cui utilizzo violerebbe senz’altro i diritti umani. All’estremo opposto, la casa farmaceutica produttrice del test (sulla creazione del quale ha lavorato dal 2009 al 2012, avvalendosi della collaborazione dei centri di diagnostica prenatale di cliniche tedesche e svizzere) non ha fatto misteri nell’annunciare, dalla città di Costanza, che lo strumento risulta essere già a disposizione di 70 sedi sanitarie, suddivise tra studi medici e cliniche dislocate in Germania, Austria, Liechtenstein e Svizzera. All’esame clinico potranno chiedere di essere sottoposte «esclusivamente le donne che si trovano alla dodicesima settimana di gravidanza e oltre, laddove si ritiene che vi sia un alto rischio di Trisomia del 21 (“sindrome di Down”) per il nascituro».

Non si fa fatica a intuire come con questo test si rischia di intraprendere una nuova via che “autorizza” le penalizzazione dei disabili: «le persone affette da sindrome di Down», precisa Hueppe, «vengono esposte a una forma molto grave di discriminazione nel loro diritto alla vita». E come dargli torto. A oggi, infatti, ben il 90% dei genitori a cui viene comunicata una diagnosi di questo tipo durante la gravidanza, opta per l’aborto. Non osiamo immaginare, dunque, l’ulteriore e distruttiva semplificazione che verrà messa in campo dalla diffusione capillare di un test di questo genere.

Simone Bruno
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