11/05/2012
Innanzitutto, per ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder) si deve intendere un disturbo di tipo neuro-biologico che fa la sua comparsa nella prima infanzia. La sua espressione tipica comprende: disattenzione, impulsività e iperattività motoria. Infatti, tutti i bambini che ne soffrono mostrano una certa difficoltà a mantenere la concentrazione, tendono a distrarsi con molta facilità, non riescono a stare fermi per molto tempo e non sono capaci di tenere a bada i loro impulsi.
Dovremmo subito obiettare che molti bambini, in circostanze diverse, possono esibire gli stessi comportamenti per svariati motivi. E non per questo ci affretteremmo ad etichettarli come iperattivi. Ma la differenza è data dal fatto che per i piccoli con ADHD questi comportamenti specifici non sono occasionali o episodici. Tutt’altro! Generalmente si prolungano per almeno 6 mesi e, spesso, in modo improprio e inusuale se confrontati con quelli esibiti dagli altri coetanei. Tra l’altro, i bambini con disturbo da deficit di attenzione rendono evidente la loro irrequietezza non soltanto a casa con i genitori o gli altri familiari (come i fratelli, le sorelle, i nonni, i cugini etc.), ma anche a scuola, in cortile con i loro compagni di gioco o in altri luoghi di ritrovo o di socializzazione, generando uno stress non indifferente nei genitori e in chi si occupa di loro. Questo ci dice che i sintomi non devono essere considerati solo nella loro gravità. Occorre anche far caso al fatto se vengano o meno espressi in più ambienti di vita contemporaneamente e se interferiscano in modo significativo con le quotidiane attività e relazioni del bambino, peggiorando la loro qualità di vita.
Quali sono, dunque, le cause? Secondo i risultati raggiunti dagli ultimi studi a matrice neuro-psicologica, genetica e neuro-radiologica, il disturbo da deficit di attenzione comporta un’alterazione delle modalità attraverso le quali si elaborano le risposte agli stimoli che provengono dall’ambiente esterno. I bambini affetti da ADHD, infatti, presenterebbero significative alterazioni funzionali di specifiche aree del sistema nervoso centrale rispetto a coetanei non colpiti dal disturbo. In sostanza, l’ADHD si fa risalire a una “disfunzione” evolutiva che intacca i circuiti cerebrali deputati all’inibizione e all’autocontrollo. L’ipotesi più seguita al momento è che tale compromissione sia causata dallo squilibrio di due neurotrasmettitori: la dopamina e la noradrenalina. Questa precisione diagnostica, a tratti sbalorditiva, è dovuta ai notevoli progressi compiuti dalle neuro-scienze, dalla genetica molecolare e dalle neuro-immagini.
Sull’origine neuro-biologica dell’ADHD, si è trovata conferma anche in una recente ricerca (2010) condotta da un gruppo di studiosi dell’Università di Cardiff, pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet. Secondo l’équipe, la causa del disturbo sarebbe riconducibile ad alcune differenze causate da segmenti di DNA duplicati o mancanti, individuabili nel cervello dei bambini affetti da ADHD e non in altri. Gli studi di stampo genetico, inoltre, indicherebbero che circa l’80% dei casi di ADHD sarebbero di natura ereditaria. Mentre i fattori di origine non genetica riconducibili al disturbo, coinvolgono la prematurità, l’uso esagerato di alcol e tabacco da parte della madre durante la gravidanza, l’esposizione ad alte quantità di piombo nella prima infanzia e le lesioni cerebrali, soprattutto quelle che intaccano la corteccia prefrontale.
Va chiarito che né la genitorialità, né gli stili di vita possono essere responsabili dell’insorgenza di questo deficit. Gli esperti, qualsiasi sia la loro specifica formazione, concordano sul fatto che l’ADHD costituisca il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici e ambientali.
Simone Bruno