24/06/2011
Ha in media 34 anni, è prevalentemente maschio (75%), spesso ha conseguito un titolo di studio superiore (44%) e ha la possibilità di lavorare grazie alle cure effettuate (49%). Questo l'identikit del paziente oggi in cura presso i SerT (Servizi per le tossicodipendenze) che emerge dalla ricerca Gfk Eurisko-Federserd (Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze): uno studio che ha coinvolto 100 medici responsabili dei Sert italiani e 378 pazienti tossicodipendenti in trattamento con terapia agonista per dipendenza da oppiacei, eroina in particolare. «Si tratta di persone "normali" - ha commentato Stefania Fregosi, direttore ricerche quantitative del dipartimento Heathcare Gfk Eurisko- capaci di crearsi una rete sociale e familiare». Circa il 76% vive infatti in famiglia o con amici e il 26% ha almeno un figlio.
I SerT, distribuiti lungo l'intero Stivale, sono 540 e all'interno di essi lavorano medici, psicologi, assistenti sociali, educatori, infermieri, sociologi, in collaborazione continua con le comunità terapeutiche e le agenzie sociali dei territori. Nella Giornata internazionale contro l'abuso di droga e il traffico illecito, istituita dall'Onu con la risoluzione 42/112 del 7 dicembre 1987 e fissata per il 26 di giugno, il messaggio che arriva dal nostro Paese è all'insegna della lotta contro lo stigma e l'emarginazione. Dall'indagine emerge come nel 96% dei casi sia lo stesso paziente a decidere di iniziare la terapia sostitutiva degli oppiacei, in primo luogo perché preoccupato della propria salute, nel 53% dei casi perché prevale il desiderio di normalità, la voglia di cambiare il giro delle amicizie, di prendersi più cura della propria famiglia, di lavorare di nuovo, di tornare ad avere una vita normale.
La terapia sostitutiva prevalente è il metadone (67% dei casi), lo strumento per il reinserimento sociale, premio di fiducia che aiuta alla responsabilizzazione, è l'affido del farmaco: dallo studio emerge che lo riceve il 71%, di cui il 19% soltanto nei weekend e in vacanza, mentre il 52% più spesso. Nonostante appaiano casi di diversione (il 27% dei pazienti dichiara di aver venduto o regalato il farmaco sostitutivo) o di misuso (15%), cioè di uso improprio del farmaco attraverso inalazione o iniezione, è elevata presso i pazienti la soddisfazione per la terapia: l'80% si dichiara molto o piuttosto soddisfatto per il farmaco che prende, per il 47% la terapia riduce o fa cessare il consumo illegale di droghe, per il 29% aiuta alla risocializzazione.
Fondamentale il sostegno psicologico che viene offerto loro: il 72% del campione sta ricevendo terapia psicologica o counselling sociale, oltre la metà dichiara di aver ricevuto aiuto ad essere più motivato a rispettare la tabella di marcia; oltre uno su tre sostiene che senza questo tipo di supporto non sarebbe riuscito a rimanere nel programma così a lungo. Ma anche la metà delle persone che non riceve alcuna terapia psicologica percepisce questa come molto o piuttosto utile. E se alla fine si chiede ai pazienti come si consideri il proprio stato di salute, sia fisico sia mentale, la risposta è "buono o piuttosto buono" nel 61% dei casi.
Qual è invece l'identikit del medico
italiano impegnato quotidianamente nella lotta contro la droga?
Maschio il 70%, età media 54 anni, circa 24
di esperienza alle spalle. Se si domanda ai camici bianchi quali siano
gli ostacoli che possono impedire a un paziente il ricorso alla terapia
agonistica, oltre la metà dà la colpa allo stigma sociale, il 41% alla
mancanza di risorse. Nel dettaglio si parla di: scarsa disponibilità e
presenza di medici nel luogo in cui risiedono i pazienti, liste d'attesa
per accedere al programma terapeutico, mancanza di disponibilità di un
servizio psico-sociale.
Se poi si indaga sulle differenze regionali, la
percezione dei medici, che nasce dall'osservazione diretta, parla con i
numeri: è il 60% a ritenere che nella qualità della cura e
nell'assistenza al paziente le differenze tra regione e regione ci
siano. Favorevoli alla terapia psico-sociale (il 96% ritiene che ci sia
almeno un vantaggio legato a essa), il 57% è convinto che questa aiuti
la terapia agonista. Preoccupata per il misuso (80%), e per la
diversione (problema serio per il 59%), la maggior parte cerca di
indagarne le cause (75%), di dialogare col paziente. Infine, è
consapevole degli effetti sociali positivi che il lavorare bene produce:
180 mila i pazienti curati nel 2010 dai SerT, 34 milioni le giornate
libere da droga prodotte.
Maria Gallelli