Malattie rare: diagnosi, terapia e famiglie

Le malattie rare secondo la ricerca “Diaspro rosso” sono un dramma umano, sociale e impoveriscono le famiglie. Le parole e l'esperienza della genetista Dagna Bricarelli.

La genetista: l'importanza delle diagnosi

28/02/2013

Vivere ogni giorno una malattia non comune, spesso circondati da inconsapevolezza generale, timore e ignoranza. Chi è colpito da una patologia rara – più di cento milioni di persone nel mondo- celebra la sua giornata il 28 di febbraio, ultimo giorno del mese: la manifestazione, istituita nel 1999 e coordinata da Eurordis (European Organization for Rare Diseases), organizzazione europea di pazienti che cura anche il sito web dell’evento (www.rarediseaseday.org), da sei anni è occasione di informazione e di sensibilizzazione, di condivisione di esperienze e sofferenze.

Quest’anno si svolgerà all’insegna dello slogan Malattie rare senza frontiere ed è stata lanciata con uno spot tutto italiano (vedi link a fine articolo). A livello nazionale, la promozione e il coordinamento degli eventi previsti per l’occasione sono prerogativa di Uniamo Federazione Italiana Malattie Rare onlus, che raccoglie più di cento associazioni italiane di malati rari e familiari (http://www.uniamo.org).

Ma che cosa sono le malattie rare? Quali le principali difficoltà vissute dai pazienti e le più significative questioni da affrontare? Lo abbiamo chiesto a Francesca Dagna Bricarelli, coordinatore del dipartimento ligure di genetica presso l’ente ospedaliero Ospedali Galliera di Genova e, tra le altre cose, referente della regione Liguria al tavolo nazionale inter-regionale sulle malattie rare.

«Si definisce malattia rara una patologia con una frequenza pari a 1 su 2000, un malato ogni 2000 persone della popolazione generale. Molto spesso, però, sono molto più rare, anche 1 su un milione e oltre. Le malattie rare note sono circa 7 mila, nel 60% dei casi esordiscono in età pediatrica, richiedono un'assistenza multidisciplinare e pluri specialistica, generalmente hanno andamento cronico, progressivo, invalidante».

- Come si arriva a diagnosticare una di queste patologie?


«Le persone hanno difficoltà ad avere una diagnosi, quindi a trovare una terapia adeguata: in media si arriva a una diagnosi dopo circa 3 anni e mezzo, spesso trascorsi in peregrinazioni tra gli ospedali italiani. E poiché nell’80% dei casi la causa è genetica, in gran parte ereditaria, capita che una coppia con un figlio affetto, in un intervallo di tempo così ampio senza diagnosi ne possa avere un altro. Spesso, poi, i pediatri di libera scelta o i medici di base non conoscono queste patologie: avranno visto solamente due o tre casi nella loro vita, su un totale di 6-7 mila diverse singole malattie esistenti, eccezion fatta per quelle più facilmente diagnosticabili come la sindrome di Down o la talassemia, ad esempio. Se un bambino ha disturbi di movimento e ritardo, gli verrà senz’altro prescritta la riabilitazione, ma ben diverso sarebbe sapere le causa delle difficoltà, se potrà avere o meno dei miglioramenti. La diagnosi è importantissima per la persona e per la sua famiglia».

- E se la malattia è ereditaria si può giocare d’anticipo?

«C’è la consulenza genetica, l’individuazione dei portatori sani. Su questo occorre insistere: sono patologie che riguardano la famiglia. È opportuno che una coppia che pensa di avere un figlio faccia una consulenza genetica qualificata presso centri genetici pubblici in modo da valutare l’anamnesi familiare e personale, perché in alcune famiglie esistono segnali di allarme chiari. Mi ricordo la sorella di un ragazzo ammalato arrivato a 30 anni senza una diagnosi perché non era andato nel posto giusto: i genetisti l’hanno subito identificata come sindrome di Williams, una sindrome sporadica non ereditaria. La sorella, non avendo mai avuto una diagnosi, si era sposata ma aveva deciso di non avere figli. Quando le è stato detto che la malattia non era ereditaria e che lei aveva una probabilità di trasmetterla pari a quella di ogni altra persona dopo pochi mesi è rimasta incinta».

- Perché le malattie rare aprono enormi questioni familiari e coinvolgono direttamente tutti, ammalati e prossimi...


«Le famiglie e le associazioni hanno un ruolo essenziale: sono la coscienza critica della società civile. In uno studio condotto dal gruppo della professoressa Paola Facchin, pediatra dell’Università di Padova e responsabile del registro delle malattie rare, sono state valutate le conseguenze per le famiglie in cui vi è una persona affetta da malattia rara: si ha rottura del nucleo familiare nel 36% dei casi contro il 7 % della popolazione generale; cambiamento e abbandono del lavoro da parte della madre nel 64% dei casi (contro il 34% generale); cambiamento di lavoro del padre (22% contro 11%); cambiamento di piani per il futuro della famiglia (50% contro il 19% della popolazione generale). Io che lavoro dal 1974 con le persone Down e le associazioni di genitori a Genova presso il Cepim (Centro italiano down onlus) e ricordo di famiglie che si sono trasferite in Liguria da altre regioni per avere un centro che assistesse i bambini fin dalla nascita».


- Per sostenere tutte queste difficoltà come agisce l’Italia?


«L’8 Giugno 2009 la Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea 2009/C 151/02 invitava gli Stati membri a "elaborare e adottare un piano o una strategia il più presto possibile, preferibilmente entro la fine del 2013, al fine di orientare e strutturare gli interventi pertinenti nel settore delle malattie rare nel quadro dei loro sistemi sanitari e sociali". In Italia, a oggi, non abbiamo ancora un Piano nazionale malattie rare mentre la Francia è già al secondo piano, alla fase di revisione. Da noi è stata fatta una prima bozza, presentata alle associazioni qualche mese fa, molto incompleta, non facilmente realizzabile e soprattutto senza un euro aggiuntivo per la sua applicazione».


- Nell’elenco delle malattie rare, mancano gli aggiornamenti anche di quelle via via individuate?


«Nel 2001, con il decreto 279/2001, l’allora Ministero della sanità ha istituito un registro nazionale delle malattie rare e i registri regionali (le regioni dovevano individuare presidi specializzati per singola malattia o gruppi di malattie rare). Accanto al decreto c’è un elenco delle malattie che serve per garantire ai pazienti l’esenzione totale per diagnosi e terapia. L’elenco doveva essere aggiornato dopo tre anni ma, a oggi, non è ancora stato aggiornato». Sui finanziamenti alla ricerca? «L’1% del Pil nazionale per tutta la ricerca non basta. Telethon è essenziale, sia per i risultati che ha ottenuto selezionando in modo rigoroso i progetti sia per la qualità delle ricerche finanziate. I successi terapeutici sono grandiosi per una serie di malattie».


- Almeno esistono nuovi strumenti in arrivo, nuove frontiere?


«Entro ottobre 2013 i paesi dell’Ue dovranno recepire la direttiva 2011/24/UE sui diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera: permette le libera circolazione dei pazienti in Europa, definisce le regole in materia di assistenza medica in un altro paese dell'UE e le condizioni da rispettare per ottenere un rimborso. Per le malattie rare questa può essere una chance in più perché verranno riconosciuti dei centri di eccellenza identificati con dei criteri stringenti forniti da Eucerd (Comitato di esperti sulle malattie rare dell’Unione europea). Verranno identificati così i centri che formeranno le reti di eccellenza per gruppi di malattie, centri di riferimento a livello europeo».

Maria Gallelli

 

Per reperire informazioni si rimanda al portale delle malattie rare e dei farmaci orfani Orphanet (http://www.orpha.net/consor4.01/www/cgi-bin/?lng=IT ), un data base in cui si accede ai dettagli sulle singole malattie, dalla loro descrizione alla diagnosi. Qui è possibile visualizzare anche tutti i presidi italiani riconosciuti dalle regioni.

Lo spot italiano: http://www.youtube.com/embed/CbiIzJnPPu8?rel=0 

Laura Badaracchi e Maria Gallelli
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