19/07/2012
Paolo Borsellino con Giovanni Falcone (foto Ansa).
Paolo Borsellino avrebbe oggi 72 anni. È stato ammazzato vent’anni fa, il 19 luglio 1992, mentre andava a trovare sua madre in via D’Amelio a Palermo.
Lo hanno fatto saltare in aria insieme agli agenti della scorta: Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta.
Borsellino era consapevole, dopo la morte dell’amico Giovanni Falcone, di essere solo, di avere troppi nemici non solo fuori, ma anche dentro la magistratura. Sapeva che stava correndo contro il tempo per tentare di individuare gli assassini di Falcone. «La mia morte» disse una volta «non sarà una vendetta della mafia. La mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri».
«Siamo cadaveri che camminano»
Ecco l'ultima intervista a Paolo Borsellino dopo la morte di Giovanni Falcone e prima dell'attentato di via D'Amelio:
Viveva dal 1980 sotto la tutela di una scorta armata. Una condizione difficile, che costringeva anche la sua famiglia a convivere con il sentimento della paura.
«La paura» raccontava ancora Borsellino «è normale che ci sia, c’è in ogni uomo. L’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti».
Aveva un rapporto molto intenso con gli studenti, che cercava di incontrare il più possibile. Il 19 luglio 1992, alle cinque della mattina, dodici ore prima che l'esplosione di un'auto carica di tritolo facesse a pezzi lui e i ragazzi della scorta, stava proprio scrivendo la risposta a una lettera di alcuni studenti di Verona. Una lettera (Clicca qui per leggerla) rimasta incompleta, ma che testimonia quanto Borsellino credesse nella formazione delle coscienze civiche delle nuove generazioni.
Rita Borsellino (foto Ansa).
L'intervista con Rita Borsellino
E' la sorella del magistrato assassinato. Rita Borsellino da tanti anni ha
deciso di portare la propria testimonianza ed il proprio impegno nelle
scuole e nella società, cercando di proseguire il lavoro interrotto da
Paolo. Nell’intervista che ci ha concesso, racconta cosa è successo in
questi vent’anni.
- Dagli ultimi atti processuali sulla strage di via D’Amelio è ormai emerso in modo molto netto come la matrice della strage in cui perse la vita suo fratello sia di carattere politico-terroristica. A che punto è arrivata la ricerca della verità?
"Ho accolto con soddisfazione il fatto che si vada verso la revisione del processo e che finalmente si inizi a parlare di una verità diversa da quella che fino ad oggi ci è stata fornita. Questo cambio di approccio mi ha dato nuova energia e un rinnovato senso di fiducia, ma contestualmente anche un grande disorientamento: ci sono istituzioni che hanno remato contro nello svolgimento dei vari passaggi processuali, mentre altre cercavano di individuare le responsabilità e raccontare la verità dei fatti. Si è creato un vero e proprio scontro tra istituzioni che in alcuni casi tramavano una contro l’altra. Oggi mi chiedo a chi sia servito tutto questo e chi sia stato il regista di una operazione così complessa che ha mirato a ritardare la ricerca della verità".
- In molti sostengono che chi ha ideato le stragi sia ancora a piede libero e ricopra posizioni di potere. Non teme, proprio nell’anno in cui ricorre il ventennale della strage, di dover stringere qualche mano che non vorrebbe mai stringere?
"Ho sempre pensato che vi fossero troppi aspetti nascosti, troppe ambiguità nella vicenda della morte di mio fratello. Oggi mi dico che ho fatto bene a non fidarmi di nessuno, perché ci sono stati troppi depistaggi, troppe deviazioni nel corso dei vent’anni processuali. In questo senso davvero non so a chi dover stringere la mano, troppi sono i dubbi".
- Negli atti processuali emergono diversi elementi che probabilmente accelerarono la decisione di Cosa nostra di uccidere Paolo Borsellino. Tra gli altri, la trattativa avviata con Cosa nostra, tramite l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, da parte dei Ros dei Carabinieri. Forse Paolo pagò in particolare la sua contrarietà a quella trattativa?
"Riteniamo che la trattativa mafia-Stato sia stato il fattore più di altri ha accelerato l’eliminazione di mio fratello: Paolo aveva un nemico, la mafia, che combatteva in nome dello Stato e intanto dall'altro lato c'era una parte dello Stato che scendeva a patti con la stessa mafia pensando così di renderla inoffensiva".
- Il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine ha portato a quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere e alla scarcerazione, dopo 17 anni, di sei innocenti, condannati all’ergastolo dalla falsa collaborazione di Vincenzo Scarantino. La nuove dichiarazioni di Gaspare Spatuzza cambiano la prospettiva delle stragi di via D’Amelio e di altri avvenimenti accaduti in quel periodo: Spatuzza ha fornito una versione totalmente diversa dell’esecuzione di Borsellino, del tutto incompatibile con le precedenti acquisizioni processuali. Ciò ha implicato la necessità, per la Procura e la Dia, di riscrivere 13 anni di stragi e di processi, nonché di ricercare nuovi elementi di prova e di individuare eventuali nuove responsabilità. Che ruolo hanno avuto nella vicenda giudiziaria i collaboratori di giustizia?
"Quando Scarantino iniziò a collaborare, si percepiva chiaramente che era una figura ambigua, paradossale. Spesso non diceva, ritrattava, modificava le versioni fornite. Oggi finalmente si ipotizzano delle accuse a Scarantino per la sua testimonianza costruita a tavolino, ma viene spontaneo porsi delle domande che gettano un’ombra inquietante sui processi svolti fino a questo momento: come è stato possibile che quella testimonianza abbia avuto tutto quel credito? I riscontri sull’attendibilità di Scarantino non furono fatti perché non ci furono le capacità o non vennero fatti perché non si dovevano fare?".
- Uno dei tanti misteri di via D’Amelio è la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, nella quale erano appuntati tutti gli incontri che suo fratello aveva fatto o aveva in programma e molti preziosi appunti. È nato anche un movimento che ogni anno porta centinaia di agende rosse in via D’Amelio. Lei ha dichiarato che in quella agenda scomparsa c’è scritto il motivo per cui Paolo è stato ucciso. Perché ne è così convinta?
"Per un motivo semplicissimo: in caso contrario, l’agenda rossa non sarebbe sparita. Addirittura qualcuno ha cercato di ipotizzare che questa agenda non fosse mai esistita, offendendo tutti i familiari di Paolo: ho in testa costantemente l’immagine di quella borsa che conteneva l’agenda rossa e che mio fratello aveva sempre con sé. Se l’agenda è stata fatta sparire, è proprio perché vi erano appuntati dei fatti e delle circostanze che non potevano essere conosciuti. Chi oggi la possiede ha un potere ricattatorio enorme nei confronti di politici e rappresentanti istituzionali".
- Paolo Borsellino aveva uno straordinario rapporto con gli studenti. Non solo li incontrava in moltissime scuole, ma teneva con molti di loro rapporti epistolari. Cosa direbbe ai ragazzi che sembrano avere oggi una grande sete di verità e di giustizia?
"Preferisco non dire o pensare a cosa direbbe o farebbe Paolo oggi. Mi piace ricordare cosa diceva allora ai ragazzi: sono comunque argomenti di una attualità sconcertante. Quell’incontro con gli studenti di Bassano del Grappa nel 1989 (http://urly.it/1c5x) resta ancora oggi una lezione civica straordinaria sul rapporto tra mafia, istituzioni e politica".
Andrea Ferrari