23/05/2012
Ilda Boccassini, Caltanissetta 1994 (Fotogramma).
«Gli uomini passano le loro idee continuano a camminare sulle gambe di altri uomini». L'abbiamo sentita ricordare da tanti, negli anni, questa frase attribuita a Giovanni Falcone. Da tanti che in questo lungo tempo si sono impegnati a non tradirne la memoria, da tanti che sentono, più o meno legittimamente, di averne raccolto l'eredità, ma anche, giusto dirlo, dai troppi estimatori postumi. Sarà la storia a dire chi è stato all’altezza dell’esempio e chi no, noi non ne abbiamo l'autorità, però ci piace l'idea di ricordare Giovanni Falcone, e con lui Paolo Borsellino che 57 giorni dopo ne ha condiviso consapevolmente la vita e la morte e con loro gli angeli custodi che li seguivano per proteggerli, pensando al gesto, in questo caso non tanto metaforico, del “camminare”.
Abbiamo pensato di farlo partendo da un fatto oggettivo: dalla scelta di un piccolo drappello di magistrati, che, oscuri nell’ombra, hanno accettato, subito dopo le stragi di Capaci e Via D'Amelio, di andare a farsi carico di quel che c'era da fare, di "migrare" per una fetta della loro vita a Caltanissetta, nel cuore arido della Sicilia devastata dalle bombe, per coprire i buchi della piccola Procura scoperta, competente per i reati riguardanti magistrati di Palermo, improvvisamente gravata dalla responsabilità delle indagini sulle stragi. Non erano lì. Non ci si sono trovati per una coincidenza della storia, ci sono andati.
Fausto Cardella in un'immagine recente (Ansa).
Neanche dieci giorni dopo Capaci, arrivarono Carmelo Petralia, Paolo Giordano e Pietro Vaccara, i primi due da Catania, il terzo da Messina, tutti siciliani, tutti poco più che quarantenni, nominati il 2 giugno del 1992. Nelle parole di Petralia, pronunciate quel giorno, c'è l'idea di come si stava: «Ci hanno chiesto la nostra disponibilità e noi andiamo», commentò alla notizia dell'applicazione avvenuta, «ma nessuno è in possesso di bacchette magiche. Speriamo, non appena i riflettori puntati su questa triste vicenda si spegneranno, di non rimanere soli, senza uomini e mezzi e con un codice di procedura penale inadeguato a combattere la mafia».
Non restarono soli. Dopo un’altra mezza tonnellata di tritolo, quando "le tristi vicende" erano diventate due, altri due magistrati sbarcarono sull’isola, il 2 novembre, in spregio a ogni scaramanzia. Ilda Boccassini, 43 anni, veniva da Milano, 975 km da casa. Era la più lontana fisicamente, ma aveva avuto il tempo e il modo di mettere il nuovo codice di procedura penale, in vigore dal 1989, alla prova di un'indagine di mafia andata a sentenza di primo grado a Milano proprio il giorno dei funerali di Falcone. Fausto Cardella, 42 anni, arrivava da Perugia, 650 km da casa. Erano tutti al massimo un nome in cronaca.
Gian Carlo Caselli con Antonino Caponnetto nel 1996.
Nessuno, tranne pochi addetti ai lavori, probabilmente, in quei giorni, si è accorto della loro partenza. Ma quando nel novembre 1993 - alla conferenza stampa che faceva il punto sulle prime ordinanze di custodia cautelare per Capaci - li abbiamo visti in faccia per la prima volta, dopo un anno di lavoro, e li abbiamo sentiti dire che almeno sulla strage di Capaci il quadro si stava facendo chiaro, la loro presenza lì, il loro gesto, sono stati la prova tangibile, che non tutto era finito a via D'Amelio, che Falcone aveva avuto ragione: altri avrebbero fatto vivere le cose in cui lui e Borsellino avevano creduto.
Sappiamo bene che non sono stati gli unici, sappiamo che le stesse cose vivono quotidianamente nell'esperienza di tante altre persone non citate qui: colleghi, amici, forze dell’ordine, giovani magistrati che sui crateri aperti hanno preso impegni morali non meno significativi. Ma in quel migrare, in quel dire sì, in quel preciso momento, ciascuno con le proprie motivazioni personali, con i tormenti che certamente ha comportato il distacco dagli affetti e dalla quotidianità della vita normale, c'è stata una fisicità, se così si può dire, potentemente simbolica. Se, con il tritolo alle spalle e molte centinaia di km davanti, avessero detto “no grazie, tengo famiglia”, nessuno avrebbe osato eccepire. Forse nessuno, fuori dalle loro stanze, se ne sarebbe accorto.
Nessuno avrebbe avuto da ridire se Gian Carlo Caselli, da Torino, non avesse chiesto di andare nel 1993 a guidare la Procura, prestigiosa ma laceratissima, di una Palermo che sembrava Beirut. Però hanno detto sì e allora è tempo di ricordare, non solo perché non si può dire che in questi vent’anni si siano sprecati i ringraziamenti, ma perché nel passato ha radici il presente. La Direzione distrettuale di Milano guidata da Ilda Boccassini ha in corso contro la 'ndrangheta il primo maxiprocesso di criminalità organizzata al nord. La Procura guidata da Gian Carlo Caselli, a Torino, si sta occupando del secondo. Saranno pure coincidenze, ma si continua a camminare.
Elisa Chiari