23/05/2012
Processo Capaci: Paolo Giordano (a sinistra) con Luca Tescaroli sostengono la pubblica accusa (Fotogramma).
L’indagine sulla strage di Capaci ha retto fino in Cassazione, la parola
fine su mandanti ed esecutori materiali di quella strage è stata messa dalla
suprema Corte nel 2008, con la conferma delle condanne che ci dicono come e da
chi sono stati uccisi Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Vito
Schifani e Antonio Montinaro. La Procura di Caltanissetta sta ancora provando a
rispondere alla domanda: “Perché?” dopo che nel 2009 le dichiarazioni del
pentito Spatuzza hanno aperto nuovi spiragli. Il capo della Procura Sergio Lari
conferma, in un’intervista rilasciata in coda al libro di Maria Falcone e
Francesca Barra Giovanni Falcone un eroe solo, che si tratta di approfondire e che nulla di quello che
recentemente è emerso scalfisce l’impianto dell’indagine portata avanti a
ridosso della strage: «Per ragioni di riserbo investigativo», si legge nel
libro, «non posso aggiungere altro ma ritengo doveroso evidenziare che si
tratta di indagini ancora in corso che non mettono in discussione i risultati
processuali ottenuti nei processi già celebrati sulla strage di Capaci, ma che
mirano, semmai a individuare ulteriori responsabilità rispetto a quelle già
accertate giudiziariamente. In altri termini, ciò significa che le nuove indagini,
diversamente da quanto verificatosi per la strage di Via D’Amelio, non
scagionano nessuna delle trentasei persone che sono state condannate in passato
per la strage di Capaci, tutti personaggi di spicco di Cosa Nostra».
La scorta di Paolo Borsellino (Fotogramma).
Via D’Amelio è un cratere ancora aperto anche dal punto di vista
processuale. Tre processi non sono bastati a fare luce sulla morte di Paolo Borsellino, Emanuela
Loi, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Fabio Li Muli, Claudio Traina e Agostino
Catalano e un processo Borsellino quater si aprirà
probabilmente presto a Caltanissetta. L’indagine e i successivi processi, tra
depistaggi e ritrattazioni, hanno cominciato a deragliare nell’estate del 1994
quando Vincenzo Scarantino ha iniziato a collaborare con i magistrati
autoaccusandosi del furto della 126 imbottita di tritolo, esplosa in Via
D’Amelio. Lo smentiranno le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, nel 2009,
facendo crollare un impianto che aveva retto in Cassazione, non senza
contrasti. Eppure già ai primi di ottobre del 1994, poco prima che scadesse il
suo mandato nisseno, Ilda Boccassini, come testimoniano due relazioni, una
delle quali firmata anche dal collega Roberto Sajeva della Dna, aveva espresso
per iscritto ai colleghi e al capo della Procura nissena di allora i suoi dubbi
in merito all’attendibilità di Scarantino, cui neppure la Procura di Palermo
avrebbe poi dato credito. Sette
condannati all’ergastolo in conseguenza delle accuse del falso pentito
Scarantino sono stati scarcerati nell’ottobre del 2011. Scarantino e altri tre
che hanno sostenuto le sue dichiarazioni sono ora rinviati a giudizio per
calunnia aggravata. Il resto sono domande aperte: chi ha voluto il depistaggio?
Perché Scarantino ha dichiarato il falso calunniando se stesso e altri? Perché
i dubbi emersi non sono stati ascoltati?
Elisa Chiari