06/12/2011
Dal 2006 al 2010 nella regione dell’Everest si sono registrati oltre 150 giorni caratterizzati da picchi di inquinamento. Sono i dati preoccupanti emersi dai cinque anni di ricerche del progetto Share (Stations at High Altitude for Research on the Environment) promosso dal Cnr e presentati a Durban nell’ambito della Conferenza delle Parti sui Cambiamenti Climatici.
I cambiamenti climatici incidono pesantemente sulla salute delle montagne, vulnerabili all’inquinamento che si registra persino a 5.050 metri di altitudine, nel cuore della regione himalayana. È quanto sta osservando da più di cinque anni la base di ricerca italiana che si trova pa 5.079 metri di quota in Nepal, alle pendici del Monte Everest.
Secondo i risultati raccolti si sono registrati oltre 164 giorni di inquinamento acuto, pari al 9% del totale del periodo analizzato, per lo più durante la stagione pre-monsonica (primaverile) quando si verifica il 56% dei giorni caratterizzati da picchi di inquinamento. Rispetto alla normalità, in questi giorni le concentrazioni dell’ozono aumentano del 29%, quelle del black carbon del 352%.
Dati significativi soprattutto se si considera che entrambi i composti rivestono ruoli importanti sia come inquinanti, avendo effetti diretti sugli ecosistemi e sulla popolazione, sia come forzanti climatiche.
L’ozono troposferico, infatti, è riconosciuto come il terzo più importante gas a effetto serra antropico, mentre le particelle di black carbon possono interagire direttamente con la radiazione solare, modificare le proprietà micro-fisiche delle nubi ed influenzare lo scioglimento di nevi e ghiacciai nelle aree montane e polari.
Questi elevati livelli di inquinanti appaiono principalmente connessi al trasporto di masse d’aria inquinate dall’area interessata dalla cosiddetta “Atmospheric Brown Cloud”, la nube di inquinanti che durante il periodo invernale e pre-monsonico si estende dall’Oceano Indiano all’Himalaya per effetto delle emissioni di particelle e gas dalle vaste aree urbane e industriali, agricole e forestali dell’Asia meridionale.
Da qualche anno, gli abitanti di Dhe, di Sam Dzong e di altri villaggi d’alta quota nella regione nepalese del Mustang hanno visto le loro sorgenti inaridirsi e sono stati costretti ad abbandonare una parte dei loro campi.
I pascoli, che prima consentivano la vita di grandi mandrie di yak, diventano rapidamente più aridi. In alcune zone, le fonti di acqua per irrigare e dissetarsi si sono ridotte del 70-80%. Gli abitanti di alcuni villaggi hanno chiesto alle autorità locali e al governo di Kathmandu di essere considerati dei “rifugiati ambientali”, e di essere ricollocati altrove.
Una testimonianza diretta degli effetti dei cambiamenti climatici in una delle terre più belle e fragili del mondo.
Gabriele Salari