Alpini, l'epopea di Nikolaevka

Settant'anni fa gli italiani combatterono l'ultima battaglia della tragica campagna di Russia, rompendo l'assedio russo e uscendo dalla sacca del Don. La ritirata a 40 gradi sottozero.

Dalla ritirata di Russia a Milano, e il cammello fece storia

26/01/2013

La terribile epopea dell’esercito italiano in Russia si è anche trasformata, gioco forza, in un’eccellente produzione storica, letteraria, cinematografica, che si è andata ad aggiungere alle molte storie di vita vissuta degli italiani durante la seconda guerra mondiale. Le pagine magistrali che nel dopoguerra ci hanno lasciato scrittori e storici, da Egisto Corradi a Nuto Revelli, da Mario Rigoni Stern ad Arrigo Petacco, si sono sommate ai racconti dei reduci, piccole vicende quotidiane che hanno segnato la vita di tutti i giorni dei militari in guerra. E anche il cinema ha voluito e saputo raccontare quegli anni, con film come Italiani, brava gente, o I girasoli.

Da episodi in cui ai nostri soldati i civili russi hanno riconosciuto umanità, generosità e spirito di fraternità, ad aneddoti che hanno colorato ulteriormente quell’anno e mezzo terribile passato in guerra contro i sovietici, chi è tornato dall’inferno russo non ha mai smesso di raccontare quanto accadde. Tanti gli episodi, dai più celebrati a quelli che magari hanno finito per concentrare l’attenzione “solo” di parenti e amici di chi quell’avventura l’ha vissuta sulla propria pelle. E oggi, a segnare la continuità di un percorso della memoria del Paese, l’epopea dell’Armir, l’armata militare italiana in Russia, continua a interessare e a commuovere anche attraverso Internet.

Tra i tanti episodi di colore, basterebbe citare la storia del cammello di Milano. Tra gli alpini in ritirata, infatti, c’era anche un cammello, probabilmente abbandonato dai russi che lo avevano usato allo stesso modo di come gli alpini usano i muli. Gli italiani lo portarono con loro e non ne vollero sapere di abbandonarlo, una volta usciti dall'allora Unione Sovietica. Così, quel cammello marciò e viaggiò fino a Milano e finì nello zoo comunale dove, secondo le testimonianze dell’epoca, si sarebbe lasciato morire di fame, non avendo più accanto quegli uomini che lo avevano portato con loro in quel viaggio dalla tragedia alla speranza.

Manuel Gandin
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