30/12/2011
Nursultan Nazarbaev (al centro), presidente del Kazakistan, tra i cittadini della città di Zhanaozen.
La prima reazione ha ricordato l'inizio della "primavera araba". Quando la rivolta di Zhanaozen ha trovato voce sui siti Internet di qualche giornale internazionale, Nursultan Nazarbaev ha addossato la colpa a non meglio precisate potenze straniere accusate di aver finanziato la rivolta. Proprio come avevano fatto prima di lui Ben Ali, Mubarak e Gheddafi. Poi però il presidente kazako, leader del più ricco stato dell'Asia centrale, ha cambiato improvvisamente strategia.
Dopo le richieste di Stati Uniti, Unione europea e Osce per un'inchiesta sulle violenze del 16 dicembre, Nazarbaev è volato ad Aktau, capoluogo della regione petrolifera di Mangistau, e ha indossato i panni del padre comprensivo, inconsapevole di quanto stava accadendo nella zona da sette mesi a questa parte. Ripreso dalle Tv di Stato ha dichiarato: «Le richieste dei lavoratori sono generalmente giustificate. I datori di lavoro non dovrebbero dimenticarsi che questi sono cittadini kazaki, non vengono mica dalla Luna. Per questo dovrebbero essere ascoltati e per quanto possibile sostenuti. Purtroppo questo non è successo».
Una donna cammina davanti a un cordone di polizia durante le proteste nella città kazaka di Aktau.
Da qui la decisione di tagliare qualche testa, di addossare la
responsabilità sui suoi subordinati sperando così di sedare le
contestazioni a poco più di due settimane dalle elezioni parlamentari
che si terranno il 15 gennaio. A rimetterci il posto sono stati i
vertici di Kazmunaigas, l'azienda energetica di stato al centro delle
proteste, una specie di Gazprom del Kazakistan, paese che detiene il 3%
delle riserve mondiali di petrolio e che entro il 2020 dovrebbe
diventare uno dei cinque maggiori esportatori di oro nero al mondo. Dopo
averli accusati pubblicamente di non essere stati in grado di risolvere
una questione che da maggio coinvolge migliaia di lavoratori, Nazarbaev
ha fatto fuori l'amministratore delegato del gruppo, Bolat Akchulakov,
nominato solo tre mesi fa, e Askar Balzhanov, numero uno KazMunaiGas EP,
società del gruppo coinvolta direttamente dalle contestazioni.
Ma la vera sorpresa porta il nome di Timur Kulibayev, genero di
Nazarbaev, considerato uno degli uomini più ricchi del Kazakistan con
una fortuna stimata da Forbes in 1.3 miliardi di dollari. «Prenderò la
decisione di licenziare il capo di Samruk-Kazyna», ha detto Nazarbaev.
Il capo di Samruk-Kazyna, fondo sovrano che controlla tra le altre
società anche KazMunaiGas, è proprio Timur Kulibayev. L'annuncio
scompagina gli appunti degli analisti politici e mette in allerta i
governi di mezzo mondo da anni in affari con il regime kazako.
Kulibayev, che vanta anche un posto nel consiglio di amministrazione del
gigante russo Gazprom, era infatti indicato come il più probabile
successore del 71enne Nazarbaev.
Una piattaforma petrolifera dell'Eni in Kazakistan.
Se è vero che le sue dimissioni per ora sono state solo annunciate (e
non eseguite come per gli altri due manager), è certo che la successione
di Nazarbaev, unico presidente del Kazakistan dai tempi
dell'indipendenza dall'Urss, è considerata dagli analisti il maggior
rischio per la stabilità del Paese, dove aziende e Stati stranieri hanno
investito in questi anni più di 120 miliardi di dollari. Soldi finiti
soprattutto nei pozzi di gas e petrolio, come quelli dell'italiana Eni
che è presente in due dei più grandi giacimenti kazaki, Kashagan e
Karachaganak. «Non dovremmo mai dimenticarci che la stabilità è la
condizione principale del successo del Kazakistan», ha ricordato
Nazarbaev durante la visita ad Aktau. Un monito che finora sembra aver
attirato l'attenzione soprattutto degli stati stranieri, decisamente più
morbidi nel criticare la repressione di Nazarbaev rispetto a quanto
fatto con alcuni regimi arabi.
Stefano Vergine