15/04/2011
Nonostante i lavoratori italiani siano parecchio apprezzati dagli imprenditori svizzeri, il recente successo elettorale della Lega ticinese si comprende anche da un latente fastidio che si respira per i frontalieri e, in generale, per gli italiani che lavorano in Svizzera. È l'esperienza, per esempio, di un docente che insegna nel canton Ticino e che ha chiesto rimanere anonimo per paura di ritorsioni sul posto di lavoro. «Un atteggiamento di fastidio», spiega il docente italiano, «che è evidente da una serie di comportamenti dei colleghi nei vari luoghi di impego. I ticinesi da un lato hanno un approccio culturale abbastanza "chiuso", dall'altro si sentono diversi dalla Svizzera interna, anche per una questione luinguistica, ma al tempo stesso non sono italiani e fanno di tutto per distinguersi».
È questo il quadro sociale in cui spesso gli italiani devono inserirsi e lavorare. E anche lo stile e l'approccio che gli svizzeri ticinesi hanno nei confronti del lavoro e molto diverso rispetto al nostro. «Ci accusano di impergnarci tanto, troppo, di essere molto efficienti, di lavorare come una persona e mezza, e in questo modo di sottrarre opportunità di impego agli svizzeri. E questo spiega in parte il consenso politico consegnato nelle mani della Lega di Bignasca, che in campagna elettorale ha puntato molte delle sue carte sulla questione dei salari e della disoccupazione».
È una sensazione che si percepisce non soltanto sui posti di lavoro, ma addirittura nelle riunioni, nei meeting di carattere formale, dove spesso i ticinesi usano il dialetto, proprio per potersi riconoscere tra loro, alzando una piccola barriera verso coloro che non appartengono alla loro cultura. Ed è una barriera che si avverte anche tra gli svizzeri che hanno posizioni più moderate, meno vicine al leghismo ticinese, che non considerano i lavoratori frontalieri italiani come degli invasori ma come delle risorse preziose anche per la loro stessa economia.
«Rimane una diffidenza di carattere culturale che è forte», osserva ancora il docente italiano che lavora in Svizzera. «Infatti, quando un italiano inizia un impiego in Ticino pensa che non ci siano grosse difficoltà proprio perché la lingua è la stessa. Ma con il passare del tempo le differenze emergono e a volte "pungono". Ma tanto più un italiano riesce a immedesimarsi nel tessuto di relazioni ticinese, tanto più dimostra di volere appartenere a quel contesto lavorativo, più viene accettato. E occorre capire quel contesto, accettare le differenze ed apprezzarle. Hanno la capacità di far funzionare le cose in modo semplice, il confronto con gli altri è spesso proficuo e trasparente. E poi non
si lavora in Svizzera solo per la remunerazione, ma si fanno tanti
chilometri ogni giorno perchè ci si può realizzare dal punto di vista
professionale. Insomma, sapersi integrare è la parola d'ordine per ogni straniero in una terra che non è la sua».
Pino Pignatta