14/03/2012
Il pullman dopo lo schianto nella galleria svizzera (Reuters).
È il peggior incidente stradale in Svizzera negli ultimi tre decenni. Avevano solo 12 anni, studenti di due cittadine delle Fiandre. Nel pullman che si è schiantato martedì 13 alle 21.15 contro la parete di una galleria dell'autostrada, poco dopo la partenza, nel cantone del Vallese, in direzione di Sion, sono morte 28 persone. Fra di loro, 22 bambini. Tornavano a casa in Belgio dopo una settimana bianca in Svizzera. Altri 24 sono ricoverati in ospedale, alcuni lottano fra la vita e la morte. Colpo di sonno dell'autista e alta velocità la causa più probabile.
Lo psicologo e psicoterapeuta Gigi Cortesi.
Sul pullman viaggiavano 52 persone, in gran parte studenti dodicenni delle cittadine di Lommel e Heverlee, nelle Fiandre. Le autorità svizzere hanno immediatamente inviato, come squadre di “pronto soccorso”, anche alcuni psicologi per assistere i piccoli sopravvissuti e le loro famiglie. Per capire quello che in questi casi possono fare gli esperti, abbiamo parlato con Gigi Cortesi, psicologo e psicoterapeuta di Bergamo, che da oltre 30 anni svolge la sua attività clinica nel campo della psicologia sistemico-familiare, autore del blog http://gigicortesi.wordpress.com/
Il dolore dei parenti alla scuola cattolica Saint Lambertus a Heverlee, in Belgio.
Ai bambini rientrati stamani in Belgio e ai loro genitori è stata proposta un'assistenza psicologica. È esattamente ciò che serve in questi casi?
Rispondo da psicoterapeuta sistemico-relazionale: chi fa la richiesta d'intervento è il portatore del problema, anche quando – come di solito avviene - la richiesta viene fatta per qualcun altro. Quindi prima considerazione che viene da fare in casi come questi è la seguente: il portatore del problema è lo Stato, che non sapendo che fare chiede l'aiuto dello psicologo. Qui si aprirebbe un lungo discorso sul fondamento e sulla ragioni dello Stato laicista, che, fondandosi sulla promessa del benessere, della felicità, della sicurezza, si trova spiazzato dalla irruzione della morte (come in questo caso), o della grande calamità naturale: si trova spiazzato perché rivela la banalità e la inconsistenza delle proprie promesse di felicità e benessere (non a caso la notizia dell'intervento degli psicologi è accompagnata dalla affermazione che tutto il resto era sotto controllo: il pullman efficiente, la presenza dei due autisti, gli orari di guida rispettati ecc.). Lo stato laicista si trova ancora più drammaticamente spiazzato di fronte alla morte dell'innocente (come in questo caso), che è evento capace di mettere in crisi perfino la fede in Dio (non a caso è interrogativo principe della Teodicea), figuriamoci quella nello Stato.
Il primo ministro Elio Di Rupo (a sinistra) con il re del belgio Alberto II e la regina Paola al loro arrivo in un aeroporto militare belga per incontrare i parenti dei bambini (Reuters).
Come dire che è lo Stato in questo caso a essere portatore del problema e ad avere bisogno dell'intervento dello psicologo?
Sì, lo Stato si mette a posto la coscienza (ammesso che ne abbia una), come a dire: ho fatto tutto quello che potevo, ho dato anche lo psicologo. Così facendo, lo Stato definisce lo psicologo e il suo intervento come un “anche” che garantisce lo Stato. L'Ordine degli Psicologi dovrebbe – con estrema forza - ribellarsi a tale manipolazione della identità dello psicologo e della natura dell'intervento psicologico; purtroppo la politicizzazione degli ordini professioonali e l'uso politico che spesso molti responsabili dell'ordine fanno della loro carica rende del tutto improbabile ogni denuncia. Lo Stato laicista si fonda in gran parte sulla negazione o sulla rimozione della morte, per cui quando la morte non può – come in questo caso – essere negata o rimossa si cerca di dirottarla e lo “psicologo” diventa per lo Stato un ottimo aeroporto di dirottamento.
(Reuters)
Nel caso specifico di questa tragedia della strada in Svizzera, nella quale sono morte 28 persone tra le quali 22 bambini, come spesso accade non sono stati i genitori a richiedere l'intervento degli psicologi...
«Esatto, e già questo fatto inficia la possibilità dell'efficacia dell'intervento, anche quando questo venga poi accettato: c'è sempre un “poi” con cui dovere fare i conti».
Poniamoci ora nella posizione – corretta – che sia un genitore o, meglio, una coppia di genitori a chiedere aiuto psicologico, di propria iniziativa...
«Prima cosa:
direi loro di non rivolgersi a uno “psicologo”, bensì a uno “psicoterapeuta”, che è l'unico a potere avviare un efficace intervento clinico (lo Stato e gli ordini troppo politicizzati hanno invece interesse a mantenere o a lasciare attivo l'equivoco tra psicologo e psicoterapeuta)».
Per stare a questa spaventosa tragedia che ha colpito 22 famiglie, rimane la necessità di guardare la realtà in faccia, di vedere che il loro figlio è morto e se ne è andato per sempre...
«Difatti la prima reazione di fronte a una perdita o a un trauma è la negazione della realtà, la negazione del fatto, cosa questa molto pericolosa perché può sganciare il genitore dalla realtà (non a caso molti genitori reagiscono alla morte di un figlio buttandosi in fedi magiche, credendo a forme magiche di comunicazione con i morti, a modalità new age di fede nella reincarnazione ecc., tutte modalità più o meno aperte di negazione della morte). Non vedere che il figlio è morto impedisce al genitore sia come individuo che come coppia di crescere (e crescere è l'unico modo di restare fedeli a sé stessi). Anche se sembra un paradosso, la morte del figlio può e deve essere una crescita dei genitori».
(Reuters)
Come fare elaborare tutto questo?
«Cercando di spigare questo: che il figlio “se ne dovesse andare”, era nella natura delle cose. Purtroppo il suo “andarsene” è nel segno paralizzante della morte, ma è il “suo” modo di andarsene e come tale va rispettato. Il figlio ha diritto alla morte. I genitori non fanno figli che possano sfuggire alla morte. Questo terzo momento non è certo un punto facile, perché fa da cerniera tra il bisogno di negare la realtà e l'emergenza del senso di colpa, che sempre prende l'essere umano di fronte alla perdita di una persona amata. Farei elaborare questo: voi non avete colpa, voi avete fatto i genitori proprio lasciandolo andare in gita, in questo modo lo avete lasciato andare al mondo come è dovere di un genitore; non siete voi ad averlo ucciso, ma il mondo con le sue incontrollabili fatalità. Voi non potevate fare altro che lasciarlo andare, voi “dovevate” lasciarlo andare».
(Reuters)
Dottor Cortesi, ma rimangono comunque un dolore e una rabbia incontrollabili e impotenti...
«Farei loro elaborare la rabbia, che dopo la negazione della realtà e l'emergenza dei sensi di colpa è momento fondamentale di un lutto. Se proprio volete e dovete arrabbiarvi – e lo dovete fare – arrabbiatevi con la vostra/nostra natura di esseri umani e mortali. Anche questa rabbia è una presa d'atto della realtà. Se poi i genitori sono credenti, farei elaborare loro questo “sapere” della fede: che anche la morte ha un senso ed è evento di resurrezione e di Paradiso. Direi loro: vostro figlio vi ha reso nonni di eternità».
Pino Pignatta
a cura di Pino Pignatta