14/03/2012
Fiori sul cavalcavia di fronte al Tunnel di Sierre, in Svizzera, dove si è schiantato il pullman (Reuters).
Un dramma collettivo quello dell’incidente che ha coinvolto un autobus belga nel cantone del Valais, in Svizzera, mentre trasportava molti scolari nelle città delle Fiandre di Lommel e Heverlee dopo un periodo di ferie invernali nella Val d'Anniviers. Un evento che rompe un equilibrio e avvia un processo, che forse non terminerà mai, di elaborazione del lutto alla ricerca della pace perduta. Ne abbiamo parlato con il dottor Luigi Colosso di Treviso, che da molti anni organizza, con un team di collaboratori, percorsi di auto-mutuo aiuto per persone colpite da gravi perdite.
I disegni fuori dalla scuola Saint Lambertus di Heverlee, in Belgio, frequentata da alcuni dei bambini morti nell'incidente in Svizzera (Reuters).
Dottor Colusso, cosa succede a un genitore quando si sente dire che suo figlio è morto?
«Il primo pensiero è che evidentemente si sono sbagliati, che non è
possibile. Subito dopo senti un vuoto aprirsi sotto di te. Ti senti
perduto, finito. Se dal punto di vista cognitivo non puoi negare
l’evidenza, da quello affettivo è un dolore indescrivibile. Non c’è
nulla che ti possa consolare, nemmeno il fatto che ci siano altri figli o
che il coniuge sia lì, accanto a te. Molto dipende anche dalle
circostanze concrete in cui vieni a saperlo».
Essere con altre persone al momento della notizia care può aiutare?
«Puoi certamente abbracciarti con il tuo partner, ma questo non
diminuisce, semmai acuisce il dolore, perché senti dentro di te anche la
disperazione dell’altro. Senti che non puoi fare nulla, che non potete
fare nulla, nemmeno solo per consolare la moglie e il marito».
Mettendosi nei panni della persona che deve comunicare l’evento tragico, come dare la notizia al genitore?
«Non credo che ci sia un modo giusto di dirlo. Sono certamente da
evitare frasi di circostanza come “ti capisco”, “mi dispiace molto”, “ti
sono vicino”. Non servono. È più importante essere utili dal punto di
vista pratico: “ti aiuto a telefonare a tuo marito”, “ti chiamo un
collega, un amico”. Sono piccoli aiuti pratici molto che rendono di più
la vicinanza al dolore. Occorre poi fornire tutte le spiegazioni
sull’evento evitando però di entrare in quelle più truculente. Alla
domanda “ha sofferto?” La risposta dev’essere sempre e sicuramente “no”,
come poi in effetti succede in caso di incidente. Si evita così di
aggiungere dolore a dolore».
(Reuters)
E ai fratellini?
«Sicuramente la notizia dev’essere sempre data dai genitori. Va poi
detta la verità, adattandola a quanto possono capirlo, secondo l’età,
capire ma senza raccontare storie o girarci attorno. Il bambino può
anche non capire le metafore. Occorre poi rispondere sempre a tono alle
domande che pongono Se poi non si sa qualcosa un bel “non lo so” è
meglio che risposte vaghe. È anche consigliabile dire le cose
fondamentali: saranno poi i piccoli a elaborare il fatto e a porre, in
un secondo tempo, le domande che sorgono nel suo intimo. Può anche
accadere che il bambino faccia la stessa domanda più volte, segno che ha
bisogno di essere rassicurato. In questo caso, bisogna dare sempre la
stessa risposta, quella vera. Se si forniscono risposte diverse si
rischia di disorientarlo nel suo processo di rielaborazione. Può,
secondo quanto so, accadere anche che il bambino chieda di tornare nel
lettone con i genitori, sempre per essere rassicurato. Infine è
importante che la sua vita prosegua, che torni e stia sempre con gli
stessi amici di prima, che vada a scuola o alle attività sportive, etc. E
lo stesso deve fare il genitore, per non ingenerare nel bambino una
scusa per appartarsi pure lui».
Quale percorso di elaborazione del lutto si può poi seguire?
«In genere di fronte a queste situazioni collettive la municipalità
attiva un servizio di psicologi, perché il dramma è comune e concentrato
in un solo luogo: spesso anche zii, cugini, nonni, amichetti sono
coinvolti pesantemente dal fatto tragico. Successivamente, nella vita
ordinaria, ogni nucleo familiare deve da solo procedere ad accettare e
ad elaborare il suo lutto. Io penserei in questi casi a gruppi di auto
mutuo aiuto con la celebrazione periodica di riti collettivi da parte di
tutti. È infatti importante che sia fatta memoria delle persone. Perché
poi non sfruttare il fatto che i ragazzi potessero essere compagni di
scuola? La scuola può essere il luogo più adatto per ricordarli insieme,
usando anche l’attività didattica, tipo un compito in classe o il
piantare degli alberi a cui si danno i nomi dei ragazzi morti
Oltretutto, in questo caso si trattava di un gruppo religioso: la fede
cristiana offre in questo senso riti che sono molto efficaci, oltre che
dal punto di vista della fede, anche dal punto di vista psicologico».
Stefano Stimamiglio
a cura di Pino Pignatta