25/12/2011
L'ufficio postale di Ho Chi Minh City. Sullo sfondo, un grande ritratto di Ho Chi Monh.
Una piccola città nel cuore della città: è questo il Centro
Pastorale dell'arcidiocesi di Ho Chi Minh City, una grande struttura che è
anche il simbolo della lenta rinascita della Chiesa in questo Paese comunista.
Il centro sorge in una struttura confiscata dallo Stato dopo la fine della
guerra e la riunificazione sotto il regime comunista, nel 1975.
Negli ultimi anni, però, con il progressivo allentarsi dei
controlli e delle restrizioni all'attività della Chiesa, alcune delle proprietà
sequestrate sono state restituite. Tra queste, anche il terreno su cui oggi
sorge il Centro Pastorale, inaugurato con una grande festa nel 2008.
Al suo interno, accanto alla chiesa di San Giuseppe e al
Seminario Maggiore, sorgono gli uffici delle varie commissioni pastorali e il
museo diocesano. Qui, ogni settimana, circa 200 persone seguono il corso di due
anni per diventare catechisti.
La secolarizzazione, spiega infatti padre Louis
Thuan, responsabile della pastorale famigliare e vicerettore del Seminario, si
comincia a far sentire pesantemente anche in Vietnam.
“Il tasso di divorzi, anche tra i cattolici, è del 30-40%
dopo dieci anni di matrimonio” e se il numero delle vocazioni per ora rimane
alto – circa 60-70 ogni anno, per un totale di 160 seminaristi e 250 studenti
in attesa di essere ammessi – “con una media di uno o massimo due figli per
famiglia, probabilmente anche queste diminuiranno rapidamente in futuro”.
È per questo che la Chiesa in Vietnam ha deciso di puntare
tutto sulla formazione dei laici e sul rafforzamento dell'identità cattolica
all'interno della comunità. Anche il Sinodo diocesano di Saigon – il primo
dalla fine della guerra – è stato dedicato al “Rinnovamento per la Comunione e
la realizzazione della Missione”.
Hanno partecipato circa 200 persone dal 21 al 26 novembre,
per parlare di ecologia, dialogo interreligioso e del ruolo della Chiesa in una
società che cambia troppo in fretta. “È stato un'occasione senza precedenti per
confrontarsi con franchezza, e per permettere ai laici di dire la loro”,
racconta padre Ngoc Dong, che non nasconde come nella Chiesa vietnamita la
distanza tra i fedeli e i preti sia, in alcuni casi, ancora “troppo grande”.
Alessandro Speciale