Caro Diego, quante cose non sei stato

Una lettera di Ormezzano a Maradona per i suoi 50 anni. Il grande calciatore, il piccolo uomo. Il campione inarrivabile, il devoto della cocaina.

31/10/2010
Diego Armando Maradona, il più grande calciatore di ogni tempo.
Diego Armando Maradona, il più grande calciatore di ogni tempo.

Volutamente in ritardo, perché sino all’ultimo ho temuto che lui, aggirando con complicità assortite il fisco italiano che aspetta i suoi soldi e speculando sui buoni facili sentimenti dei napoletani, si facesse vivo alle celebrazioni ufficiali sotto il Vesuvio dei suoi cinquant’anni, provo, da vecchio giornalista sportivo, a dire cosa penso di Diego Armando Maradona, probabilmente il più grande calciatore di ogni tempo, meglio anche di Pelè, sicuramente un piccolo uomo.

     Uno a proposito del quale si dice enfaticamente quanto ha dato al popolo del pallone, si tace quanto, con il talento donatogli da Dio, avrebbe potuto dare in chiave didascalica e didattica, come esempio trascinatore nella marcia dei giovani, pallonari e non solo, verso cose buone e giuste non limitate al campo di gioco.  C’è una grande operazione di mimetismo in atto, su di lui e con lui, dagli anni Ottanta, quelli della sua travolgente epifania sulle scene calcistiche. Si tende ad un maquillage operato, usando il Maradona campione, sul Maradona personaggio: che è stato un personaggio difficile, balordo, contorto, pericoloso. Secondo me non è possibile, e non è neppure onesto, dimenticare anche il devoto della cocaina, l’insonne delle notti brave e losche e licenziose napoletane, lo sparatore di fucilate contro i giornalisti critici, l’uomo del rosario strapazzato quando, da commissario tecnico dell’Argentina, la sua squadra falliva l’appuntamento mondiale in Sudafrica. Altro che rinnovare per lui il solenne ma, perché non dirlo?, blasfemo “Te Diegum” inventato a Napoli, inno e preghiera e movimento sociofilosofico (!). 

     E’ un fenomeno, si dice, e implicitamente o anche esplicitamente gli viene concesso il diritto ad ogni licenza. Secondo me uno così dotato dalla natura ha il dovere di diventare non solo icona per una adorazione pagana, ma esempio di comportamento civile. Per i cinquant’anni gli vorrei affettuosamente regalare, visto che calcisticamente parlando ha deliziato eccome anche me, la consapevolezza delle sue lacune, delle sue “diserzioni” morali, anziché il crogiolamento nelle sue glorie pallonare. Gli vorrei regalare una partita, giocata o diretta o anche soltanto seguita, fra le righe e non fuori e neanche sopra le righe. Vorrei che il suo cuore ci intrigasse sempre per i suoi atti da buon uomo, da buon ragazzo, anche da buon bambino, e non troppo spesso per i suoi eccessi sentimentali o per le sue carenze sul piano sanitario. Vorrei vederlo abbracciato anche al figlio suo napoletano, sinora impostogli dalla legge più che dal cuore. Vorrei apprezzarlo come combattente contro la droga, non compatirlo come vittima sempre possibile di agguati chimici sempre immanenti e magari imminenti da parte della mala società, così comoda e utile come alibi per i deboli.

     Vorrei che un popolo come quello argentino ed anche come quello napoletano (in fondo siamo un po’tutti napoletani, o tutti un po’ napoletani) per amarlo non dovesse essere soltanto stordito e ammaliato dalle sue stentoree prodezze, ma calamitato dalla sua umiltà di ex povero.  Ha segnato i più bei gol del mondo, ma cosa vuol dire rispetto a quanto e come il personaggio poteva incidere in cuori animi spiriti a lui votati? Vero che per incidere, per “contare” doveva prima segnare dei gol, ma vero anche che dopo i gol non ha fatto quasi nulla per essere all’altezza del Maradona ottimale, a tutto tondo, che sognavo, che ancora sogno visto che il personaggio ha sempre una grande ribalta per agire, che gli auguro di diventare. Pensando a lui spero sempre, spero ancora in belle anzi splendide notizie, temo sempre brutte e squallide nuove.

Gian Paolo Ormezzano
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