26/04/2012
L'impianto nucleare di Chernobyl dopo il disastro avvenuto 26 anni fa, il 26 aprile 1986.
Tra un mese uscirà negli Stati Uniti “I diari di Chernobyl”. Non è un documentario in occasione dell’anniversario del maggior disastro nucleare della storia (superato forse ora da Fukushima), avvenuto il 26 aprile del 1986. Si tratta di un film horror: un gruppo di amici noleggia una guida per
il tour che li porta a visitare, nella città abbandonata di Pripyat,
l'ex casa dei lavoratori del reattore nucleare di Chernobyl. La natura
si sta lentamente riappropriando del territorio su cui sorge la città
fantasma, ma di notte riecheggiano inquietanti grida disumane...
Questa la finzione, ma la realtà non è meno da horror. Dopo 26 anni dall'incidente, la centrale non è stata messa in sicurezza e 6 milioni di persone in Bielorussia ne stanno ancora pagando le conseguenze. Nonostante i rischi di contaminazione radioattiva per centinaia di migliaia di persone, il primo ministro ucraino Mikola Azarov ha proposto di riaprire la zona di Chernobyl attualmente off limits.
Il giorno della commemorazione dei defunti nel villaggio di Lomysh, nei pressi della zona ancora contaminata di Chernobyl (Reuters).
Legambiente esprime la sua “profonda preoccupazione per questa proposta scellerata e chiede un intervento da parte della Comunità Europea, maggiore finanziatore per la costruzione del nuovo sarcofago, affinché non siano attuate scelte che mettano ulteriormente a rischio la salute di centinaia di migliaia di persone”. I terreni che saranno eventualmente coltivati non faranno che produrre prodotti agricoli ricchi di sostanze radioattive, così come Legambiente ha avuto modo di certificare attraverso un progetto di monitoraggio effettuato nel 2006 nelle zone contaminate della Bielorussia in collaborazione con l'Arpa Emilia Romagna e le stesse autorità bielorusse.
In occasione del 26° anniversario del disastro di Chernobyl è previsto l'avvio dei lavori per la messa in sicurezza del sarcofago che ricopre il quarto reattore esploso, costruito a partire da metà giugno 1986. I lavori si protrassero per 206 giorni e notti e coinvolsero 90.000 lavoratori che impiegarono ben 300.000 tonnellate di calcestruzzo e 1.000 tonnellate di strutture metalliche. Si stima che la quantità di materiale radioattivo altamente pericoloso contenuto all'interno dell'attuale sarcofago sia di circa 200 tonnellate. All'interno del sarcofago si trova dunque ancora oggi il 95% del materiale radioattivo presente al momento dell'incidente.
Queste sostanze sono sottoposte a un processo di trasformazione spontaneo che genera altri radionuclidi e polveri: esiste un potenziale rischio di rilascio nell'ambiente esterno, soprattutto nel caso di un collasso della struttura di contenimento. Nel 2006 il sarcofago presentava all'incirca 100 metri quadri di crepe e fessure dalle quali penetra l’acqua piovana. Per la messa in sicurezza, si costruirà un arco in acciaio che avrà tre volte il peso della Torre Eiffel mentre l'altezza prevista è di 105 metri, ovvero quanto un palazzo di 30 piani o quanto l'altezza della Statua della Libertà. Nell’ipotesi più ottimistica, per la bonifica completa della centrale nucleare di Chernobyl occorrerà ancora un secolo.
Un bambino ucraino durante una cerimonia a Kiev per ricordare il 26° anniversario del disastro nucleare di Chernobyl (Reuters).
I bambini di Chernobyl
Diverse Ong italiane sono attive da anni nell’assistenza ai bambini vittime di Chernobyl, una realtà purtroppo ancora molto attuale, come segnala Soleterre, attiva in Ucraina. Se tra il 1981 e il 1985 i bambini affetti da tumore maligno erano il 33,3%, negli anni successivi a Chernobyl erano diventati il 46,7%, mentre nel 2011 la percentuale era salita ancora al 68,7%. Molte mamme nei reparti, nate nell’anno dell’incidente e negli anni successivi, hanno avuto più aborti e figli che presentano patologie tumorali in giovanissima età. Non solo, la paura che, a causa dell’incidente nucleare e della contaminazione, i propri figli possano ammalarsi o avere delle malformazioni, è ancora molto forte nella popolazione ucraina e ha inciso profondamente sulle nascite: la popolazione infantile è passata da 11 milioni e mezzo nel 1990 a 8 milioni nel 2011.
Ad alimentare la sensazione di insicurezza è la mancanza di trasparenza in materia. Un po’ come accade per l’inquinamento del mare quando si avvicina la stagione balneare, così anche nel caso degli incidenti nucleari si assiste all’innalzamento dei limiti di esposizione. Dopo Chernobyl l’Unione Sovietica alzò il limite a 5 mSV/anno, il governo giapponese, dopo Fukushima, a 20 mSV/anno. Eppure la CIPR (Commissione Internazionale di Protezione Radiologica), indica come limite per un adulto la quantità di 1 mSV/anno. “Quel che è grave, poi, è che casi come Chernobyl non hanno ancora visto giustizia. Occorrerebbe una Corte internazionale dell'ambiente per difendere l'ambiente come un diritto fondamentale dell'uomo” commenta il giudice Amedeo Postiglione, direttore dell’Icef (International Court of Environment Foundation). “Solo una Corte indipendente potrebbe esprimersi in caso di danno ambientale, anche qualora fosse uno Stato ad aver cagionato il danno ambientale di rilevanza internazionale, direttamente o indirettamente. Il Parlamento europeo ne ha appoggiato l'istituzione con una recente risoluzione. Speriamo bene”
Scarsa trasparenza, giustizia carente. E l’informazione come affronta il tema? Se ne parla proprio domani al Festival internazionale di giornalismo in corso a Perugia, in una tavola rotonda dal titolo “Sbatti l’atomo in prima pagina”. http://www.festivaldelgiornalismo.com/programme/2012/how-the-media-deal-with-the-nuclear-question . Pochi eventi come Chernobyl, infatti, hanno profondamente colpito l’opinione pubblica sia per la sicurezza alimentare (per settimane vennero considerati a rischio latte, verdure e funghi) che per i rischi ambientali. L’anno successivo si svolse il referendum con cui l’Italia decise la chiusura delle proprie centrali nucleari.
Gabriele Salari