"Gli ordigni, la paura, il dovere"

Il primo maresciallo Mauro Gìgli, morto il 28 luglio, a giugno aveva incontrato gli inviati di Famiglia Cristiana. Il suo racconto e le foto scattate da Nino Leto.

29/07/2010
Il primo maresciallo Mauro Gigli durante l'intervista con Famiglia Cristiana. Alle sue spalle un Buffalo (foto di Nino Leto).
Il primo maresciallo Mauro Gigli durante l'intervista con Famiglia Cristiana. Alle sue spalle un Buffalo (foto di Nino Leto).

Lo incontriamo quando le ombre si distendono e la luce morbida del tramonto avvolge tutto, uomini, mezzi, bandiere, armi. Il primo maresciallo Mauro Gigli, 41 anni, originario della Sardegna, ma da anni residente in Piemonte, è il primo militare che intervistiamo una volta arrivati a Camp Arena, il quartier generale del contingente italiano sorto a ridosso dell'aeroporto di Herat, alle porte di quella che è la terza città dell'Afghanistan, cuore di una tribolata regione che confina a Nord con il Turkmenistan e a Ovest con l'Iran. 

    Mauro Gigli appartiene al 32° reggimento genio guastatori, inquadrato nella Brigata alpina Taurinense. Ci aspetta vicino a un Buffalo, un mezzo gigante di fabbricazione americana con cui gli sminatori operano sul campo. «E' un ottimo professionista, oltre che un amico", dice, presentandoci, il portavoce della missione, il maggiore degli Alpini Mario Renna. Sorride, Gigli.  Le domande vertono sul suo lavoro, com'è ovvio che sia. Ma in ultimo si parla anche di The hurt locker, il film che vinto l'Oscar 2010 e che racconta vita ed emozioni degli sminatori americani impegnati in Irak. 

    «Gli ordigni esplosivi improvvisati (gli Iedd, Improvised explosive device disposal, ndr.) sono una minaccia con cui ci misuriamo continuamente», esordisce Gigli che alle spalle ha una grande esperienza maturata in diverse missioni. «Siamo qui da neppure tre mesi e già i nostri team di Herat e di Bala Murghab hanno dovuto compiere oltre 50 interventi. Se sommiamo anche le operazioni dei team degli artificieri italiani che operano  sud, a Shindad e a Farah, il totale sale a 80 e più». 

    «L'esplosivo è contenuto in bottiglie, in scatole di legno o di cartone; la detonazione viene attivata da piatti di pressione o tramite un sistema a tempo oppure, ancora, grazie a un radiocomando», prosegue Gigli. «Il momento più delicato è sicuramente quando c'è l'approccio manuale dell'operatore.  Ogni intervento fa storia a sé. Certo, abbiamo anche a disposizione piccoli veicoli robotizzati e i Buffalo. Decidiamo di volta in volta come procedere, la scelta è dettata anche dal posto dove viene rinvenuto l'ordigno, se in terreno aperto, desertico, in campagna o in un luogo densamente abitato, con alto rischio per i civili».

    Chiediamo se è vero che è stata usata anche una pentola a pressione, e lui conferma che nell'aera di Kabul è successo anche questo. «Per tacere delle autobomba», aggiunge Gigli. Racconta, poi, di quando ha accompagnato per tre giorni il convoglio di mezzi partiti da Herat e diretti alla base operativa avanzata Columbus di Bala Murghab, 230 chilometri di strade via via sempre più pericolose e impervie che richiedono una settimana abbaondante di viaggio, giacché si procede a passo d'uomo, il pericolo degli Iedd sempre in agguato. Il 17 maggio, proprio un ordigno esplosivo improvvisato uccide due commilitoni di Gigli, il sergente Massimiliano Ramadù e il caporale Luigi Pascazio, anch'essi del 32° reggimento genio guastatori della Brigata Taurinense.  

    L'intervista volge al termine. Siamo raggiunti da altri sminatori, tra cui il maresciallo Paola Gigante, con il cane Zero. Il collega fotoreporter Nino Leto scatta le foto che vedete qui a fianco e nella fotogallery allegata, dedicata alle donne al fronte.  C'è ancora tempo per un paio di battute sul film The hurt locker.  «L'ho visto, rende fedelmente la nostra vita, l'adrenalina che ci corre dentro quando interveniamo, la paura, la professionalità e l'esperienza che ci permettono di imbrigliarla. Sì, m'è piaciuto», conclude il primo maresciallo. 

    Ci salutiamo. E' l'imbrunire di venerdì 11 giugno. Insieme con il  caporalmaggiore capo Pierdavide De Cillis, Mauro Gigli  muore non lontano da Herat la sera del 28 luglio. De Cillis lascia una moglie, incinta al quarto mese, e una figlia piccola. Gigli lascia la moglie e due figli, di 19 e 7 anni.  Con questi due nuovi lutti, l'Operazione Enduring Freedom, cominciata sul finire del  2001, conta 1.970 soldati stranieri morti in Afghanistan; di questi 29 sono italiani. 
  

Alberto Chiara
Preferiti
Condividi questo articolo:
Delicious MySpace

I vostri commenti

Commenta

Per poter scrivere un'opinione è necessario effettuare il login

Se non sei registrato clicca qui

Articoli correlati

Afghanistan, altro sangue italiano

Due soldati italiani, due esperti del genio, hanno perso la vita nel corso delle operazioni di disinnesco di un ordigno a circa otto chilometri dal centro di Herat. I due militari facevano parte...

Alberto Chiara

Il disastro afghano nelle carte segrete

Si tratta di 92 mila documenti, per lo più rapporti redatti dai servizi segreti americani tra il 2004 e il 2009. Descrivono stragi di civili, militari stranieri della coalizione caduti per “fuoco...

Alberto Chiara

Missioni/1 - Da Herat alla Val Pusteria

La sigla - Casta - sta per Campionati di sci delle truppe alpine. Si tratta di una manifestazione ideata nel 1931 per valutare il livello operativo e la preparazione fisica delle unità di montagna...

Alberto Chiara

tag canale

MODA
Le tendenze, lo stile, gli accessori e tutte le novità
FONDATORI
Le grandi personalità della Chiesa e le loro opere
CARA FAMIGLIA
La vostre testimonianze pubblicate in diretta
I NOSTRI SOLDI
I risparmi, gli investimenti e le notizie per l'economia famigliare
%A
Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo,14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 5.164.569,00 i.v.
Copyright © 2012 Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati