29/07/2010
Il primo maresciallo Mauro Gigli durante l'intervista con Famiglia Cristiana. Alle sue spalle un Buffalo (foto di Nino Leto).
Lo incontriamo quando le ombre si distendono e la luce morbida del tramonto avvolge tutto, uomini, mezzi, bandiere, armi. Il primo maresciallo Mauro Gigli, 41 anni, originario della Sardegna, ma da anni residente in Piemonte, è il primo militare che intervistiamo una volta arrivati a Camp Arena, il quartier generale del contingente italiano sorto a ridosso dell'aeroporto di Herat, alle porte di quella che è la terza città dell'Afghanistan, cuore di una tribolata regione che confina a Nord con il Turkmenistan e a Ovest con l'Iran.
Mauro Gigli appartiene al 32° reggimento genio guastatori, inquadrato nella Brigata alpina Taurinense. Ci aspetta vicino a un Buffalo, un mezzo gigante di fabbricazione americana con cui gli sminatori operano sul campo. «E' un ottimo professionista, oltre che un amico", dice, presentandoci, il portavoce della missione, il maggiore degli Alpini Mario Renna. Sorride, Gigli. Le domande vertono sul suo lavoro, com'è ovvio che sia. Ma in ultimo si parla anche di The hurt locker, il film che vinto l'Oscar 2010 e che racconta vita ed emozioni degli sminatori americani impegnati in Irak.
«Gli ordigni esplosivi improvvisati (gli Iedd, Improvised explosive device disposal, ndr.) sono una minaccia con cui ci misuriamo continuamente», esordisce Gigli che alle spalle ha una grande esperienza maturata in diverse missioni. «Siamo qui da neppure tre mesi e già i nostri team di Herat e di Bala Murghab hanno dovuto compiere oltre 50 interventi. Se sommiamo anche le operazioni dei team degli artificieri italiani che operano sud, a Shindad e a Farah, il totale sale a 80 e più».
«L'esplosivo è contenuto in bottiglie, in scatole di legno o di cartone; la detonazione viene attivata da piatti di pressione o tramite un sistema a tempo oppure, ancora, grazie a un radiocomando», prosegue Gigli. «Il momento più delicato è sicuramente quando c'è l'approccio manuale dell'operatore. Ogni intervento fa storia a sé. Certo, abbiamo anche a disposizione piccoli veicoli robotizzati e i Buffalo. Decidiamo di volta in volta come procedere, la scelta è dettata anche dal posto dove viene rinvenuto l'ordigno, se in terreno aperto, desertico, in campagna o in un luogo densamente abitato, con alto rischio per i civili».
Chiediamo se è vero che è stata usata anche una pentola a pressione, e lui conferma che nell'aera di Kabul è successo anche questo. «Per tacere delle autobomba», aggiunge Gigli. Racconta, poi, di quando ha accompagnato per tre giorni il convoglio di mezzi partiti da Herat e diretti alla base operativa avanzata Columbus di Bala Murghab, 230 chilometri di strade via via sempre più pericolose e impervie che richiedono una settimana abbaondante di viaggio, giacché si procede a passo d'uomo, il pericolo degli Iedd sempre in agguato. Il 17 maggio, proprio un ordigno esplosivo improvvisato uccide due commilitoni di Gigli, il sergente Massimiliano Ramadù e il caporale Luigi Pascazio, anch'essi del 32° reggimento genio guastatori della Brigata Taurinense.
L'intervista volge al termine. Siamo raggiunti da altri sminatori, tra cui il maresciallo Paola Gigante, con il cane Zero. Il collega fotoreporter Nino Leto scatta le foto che vedete qui a fianco e nella fotogallery allegata, dedicata alle donne al fronte. C'è ancora tempo per un paio di battute sul film The hurt locker. «L'ho visto, rende fedelmente la nostra vita, l'adrenalina che ci corre dentro quando interveniamo, la paura, la professionalità e l'esperienza che ci permettono di imbrigliarla. Sì, m'è piaciuto», conclude il primo maresciallo.
Ci salutiamo. E' l'imbrunire di venerdì 11 giugno. Insieme con il caporalmaggiore capo Pierdavide De Cillis, Mauro Gigli muore non lontano da Herat la sera del 28 luglio. De Cillis lascia una moglie, incinta al quarto mese, e una figlia piccola. Gigli lascia la moglie e due figli, di 19 e 7 anni. Con questi due nuovi lutti, l'Operazione Enduring Freedom, cominciata sul finire del 2001, conta 1.970 soldati stranieri morti in Afghanistan; di questi 29 sono italiani.
Alberto Chiara