25/10/2010
Dal nostro inviato a Haiti
Dieu sait tout, si legge sui tap tap, i variopinti autobus stipati di uomini, donne e bambini che sciamano sui viali di fango e di polvere di Port au Prince, la capitale di Haiti. Solo Dio sa cosa può accadere se l'epidemia di colera esploderà in questa metropoli infernale che in questi giorni rimanda a Orano, la citta' della Peste di Camus.
Un'idea della velocità del potenziale contagio viene subito in mente mentre camminiamo in mezzo alla tendopoli di Tapis Vert, guidati dai volontari dell'Avsi. Un'umanità dolente e rassegnata di tremila famiglie bivacca sotto le tende azzurre della protezione civile italiana, in mezzo ai miasmi di una mota di terra, fango, cemento e rifiuti, la morta gora che cinge l'accampamento.
Fiammetta Cappellini, coordinatrice dell'ong italiana, ad Haiti da 5 anni, è appena tornata da un summit per gestire l'emergenza e ce ne fa un resoconto nella sede Avsi del quartiere di Cite Soleil, una delle più grandi bidonville del mondo. Il tentativo di imporre un cordone sanitario da parte dei caschi blu della Minustah è fallito. Oltre ai 300 morti e i 3.000 contagiati sono stati segnalati cinque casi tra Port au Prince e Les Cayes, a sud del Paese.
Il comitato di emergenza formato dal ministero della Sanità, la Cri, Mediciens sans frontiers e alcune ong internazionali ha diviso l'immensa area di quattro milioni di abitanti (di cui un milione e mezzo nelle tendopoli) individuando i luoghi dove organizzare i presidi sanitari. Il comitato raccomanda attraverso messaggi alla popolazione sempre meno rassicuranti di lavarsi le mani, di lavare la frutta, di correre al presidio ai minimi sintomi di diarrea e vomito e conta di aumentare il consumo procapite di acqua da due a sette litri al giorno.
Impresa impossibile, se si pensa che solo il 30 per cento degli abitanti di Port au Prince ha accesso diretto all'acqua potabile. Gli operatori sembrano rassegnati a un flagello che andrebbe a sommarsi a quelli cronici di Haiti: malnutrizione, povertà, malattie, criminalità dilagante. Per affrontare il colera non ci sono mezzi, ospedali, personale sanitario sufficienti. Dopo aver ricevuto istruzioni non resta che aspettare il nuovo flagello, sperando che la città possa risvegliarsi da un incubo, ma rassegnati al peggio.
Francesco Anfossi