04/10/2010
Il presidente uscente Lula e Dilma Rousseff, candidata alla successione.
Per la svolta del "dopo-Lula" i brasiliani devono aspettare il 31 ottobre: sarà il ballottaggio a decidere fra Dilma Rousseff e José Serra, l'energica ex guerrigliera che patì sulla sua pelle la dittatura militare, favorita di Lula e candidata del Partito dei lavoratori, e l'ex sindaco di San Paolo - e poi governatore dello Stato omonimo - figlio di un emigrato calabrese, volto del partito socialdemocratico, di centrodestra. Chi diventerà il nuovo presidente del Brasile è destinato a fare i conti con la grande eredità politica e morale di un leader che, nell'arco di due mandati, ha rivoluzionato il Paese più grande dell'America latina e che ora esce di scena con un indice di popolarità intorno all'85%. Un vero e proprio miracolo sociale ed economico, quello compiuto da Lula, l'ex sindacalista che non ha studiato e non parla una parola di inglese, arrivato ai vertici dello Stato partendo dagli strati più bassi della società brasiliana.
La grande rivoluzione di Lula si indentifica con la rivoluzione della classe media: in un Paese immenso di circa 198 milioni di abitanti, segnato da una disuguaglianza sociale profonda e allarmante, 35,7 milioni di persone nel giro di pochi anni sono saliti dalle classi più basse al ceto medio, con salari mensili fra i 1.200 reais (520 euro) e i 4.800 reais (circa 2.100 euro); altri 28 milioni di abitanti sono usciti dalla situazione di miseria e di povertà estrema, raggiungendo se non il benessere almeno una condizione di vita dignitosa.
Con il programma di aiuti sociali Borsa famiglia, il governo Lula ha raggiunto 11 milioni di famiglie, circa 40 milioni di brasiliani. La rivoluzione sociale ha investito anche le sterminate favelas sdi San Paolo e Rio de Janeiro e i sobborghi urbani ai margini delle grandi città. Oggi 68 milioni di brasiliani usano Internet (un quarto delle case ha un
computer). Anche se la forbice socio-economica rimane un problema radicato nel cuore del Paese.
Dal punto di vista economico il Brasile è un gigante che cresce con incredibile rapidità. I numeri parlano chiaro: il tasso di disoccupazione nel 2009 si attestava intorno all'8%. La sua industria automobilistica è al quarto posto nel mondo dominata dalla Fiat, che per la prima volta nel 2009 ha riscosso guadagni più elevati nel Paese sudaamericano che in Italia. Il Paese è inoltre all'avanguardia nello sfruttamento del bioetanolo in campo automobilistico, come sostituto della benzina, e nelle energie verdi e rinnovabili, come quella idroelettrica, dimostrando che è possibile coniugare la crescita economica con il rispetto dell'ambiente. Negli anni scorsi, il Brasile ha investito molto nell'esplorazione di petrolio: nel 2008 sono stati scoperti enormi giacimenti e la Petrobras, la compagnia petrolifera brasiliana, ha annunciato un programma di investimenti senza precedenti che proiettano il Paese fra i giganti energetici.
Eppure, in questo colosso dalle mille contraddizioni, che nel 2016 ospiterà le Olimpiadi, molto resta ancora da fare: la disugliaglianza sociale e la povertà rimangono problemi preoccupanti, così come restano allarmanti la violenza urbana e la criminalità legata al narcotraffico, soprattutto nei grandi centri cittadini che, nel corso dei decenni, hanno conosciuto uno sviluppo rapido e disordinato, in coincidenza con il progressivo impoverimento delle zone rurali. E, non ultimo, il problema della conservazione della foresta amazzonica, il polmone verde del pianeta, minacciata dalla deforestazione.
L'urgenza ambientale è sentita in modo particolare da Marina Silva, convinta ecologista, ex ministro dell'Ambiente "ribelle" del Governo Lula e candidata presidenziale per il Partito dei Verdi. La Silva non ha superato il primo turno, ma ha oltrepassato l'insperata soglia del 20% delle preferenze: segno di una sensibilità diffusa fra la gente verso le tematiche ambientali. E il 31 ottobre potrebbe essere proprio lei l'ago della bilancia che deciderà le sorti del ballottaggio tra la Rousseff e Serra.
Giulia Cerqueti