12/12/2010
Alberto Cairo nasce a Ceva, in provincia di Cuneo, nel 1952. E' un esperto fisioterapista, ma ha anche una laurea in Giurisprudenza. Nella capitale afghana dirige il Centro ortopedico del Comitato internazionale della Croce Rossa. Fotografia di Nino Leto/Famiglia Cristiana.
Kabul, dicembre 2010
In Afghanistan, il divario tra ricchi e poveri è
enorme. Se i ricchi veri (ricchi per la guerra per lo più) sono tanti, infinito
è il numero dei poverissimi. Vado spesso nelle case dei nostri pazienti (per i midollolesi la Croce Rossa
Internazionale ha un programma a domicilio).
I più abitano sulle colline, spesso ben in alto, costano meno. Non hanno
l'acqua, arriva in taniche a dorso d'asino, l'elettricità, se c'è, è a giorni
alterni. «Abbiamo una bella vista», scherzano per scordare di essere
prigionieri lassù. Le strade per arrivarci sono infatti impossibili per chi si
muove con stampelle e carrozzine. Con pioggia e neve diventano impraticabili anche
per persone sane. Nelle stanze non c'è nulla, alle finestre fogli di plastica
al posto dei vetri, qualche volta una stufa. Termino le visite vergognandomi di
avere tutto, troppo.
Ma se nelle città
segni di cambiamento sono in qualche modo visibili con strade asfaltate, case,
auto a migliaia, nelle campagne si è decenni indietro. Panorami pittoreschi,
certo, ma che vita grama! I rapporti delle organizzazioni che si occupano di
agricoltura dicono che le comunità rurali di molte regioni diventano sempre più
povere. Per la siccità, per i sistemi di irrigazione obsoleti, i raccolti
mancati, gli investimenti e i piani di sviluppo insufficenti. Come stupirsi se poi
le province non riconoscono l'autorità centrale? Kabul
è lontana, malgrado i migliorati collegamenti. E' lontana concettualmente. Da sempre l'Afghanistan è
un insieme di regioni, etnie, clan, con alleanze che si intrecciano e si disfano
in un momento. Dimenticata dal centro, la periferia si arrangia da sé. Deve. Ora
poi parecchie regioni sono in guerra, con l'opposizione armata (termine comprendente
qualunque nemico del Governo, talebani veri e finti, banditi, terroristi stranieri) che si batte
con l'esercito afghano e con le truppe internazionali.
A tenere insieme tutti quei
tasselli provvedono tradizioni e usanze, più che le leggi. Costumi rigidi,
immutabili. Molti se ne lamentano, senza però pensare a liberarsene. Forse
temono di perdere identità, secoli di storia. Di snaturarsi insomma. Esempi? Prendi Feruz, maestro elementare: da
mesi va in giro facendo debiti per sposare il figlio. Non per comprargli la
casa o cercargli lavoro, ma per pagare il pranzo di nozze. Il padre della sposa
vuole una gran festa, costo attorno ai diecimila dollari (ottomila euro). Qui rappresentano almeno tre anni di stipendio. Una cerimonia modesta a Feruz farebbe
comodo, ma che disonore non accontentare i parenti, non mostrarsi
grandioso.
Oppure Naim, uno dei miei più
vecchi conoscenti. Nei vent'anni in cui gli ho fatto visita a casa non mi ha
mai presentato un familiare donna, neppure la nonna. Spariscono appena suono
alla porta. A volte lasciano una traccia, una stoffa con filo e ago abbandonati
in fretta, un ricamo interrotto. Via via, nascondersi. Come se non esistessero.
Un giorno gli ho chiesto, è arrossito, ma niente è cambiato. Non può. Le donne
di casa nessun estraneo le deve vedere. Sarebbe il disonore. Punto.
Il lavoro delle organizzazioni
umanitarie internazionali, piccole e grandi, resta indispensabile in ogni
settore. La Croce Rossa Internazionale, la mia organizzazione, continua ad allargare
le attività: assistenza agli ospedali, visita alle prigioni (afghane e
americane), programmi agricoli, ripristino di acquedotti, pozzi, fogne. Il
progetto per cui lavoro, riabilitazione
fisica e reinserimento sociale delle persone disabili, vede il numero degli
assistiti aumentare costantemente a causa della guerra, delle malattie e della
scarsa medicina preventiva. I bisogni restano enormi.
Abbiamo aperto il settimo
centro protesi nella provincia di Helmand, a Lashkar Gah, dove Nato e talebani
si stanno affrontando e dove migliaia di nuove mine anti-uomo sono state
piazzate. Anche quest'anno il numero di gambe artificiali fabbricate sarà
record, oltre quindicimila. Altri centri in altre province sarebbero senz'altro
necessari.
Alberto Cairo, 2 - continua