Irak, per i cristiani è sempre martirio

Bombe, colpi di mortaio, rastrellamenti casa per casa. Una giornata di terrore per i cristiani di Baghdad a soli dieci giorni dalla strage nella cattedrale siro-cattolica.

10/11/2010
Una chiesa cristiana attaccata a Kirkuk.
Una chiesa cristiana attaccata a Kirkuk.

Dieci giorni dopo la strage nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso (44 civli, 7 poliziotti e 3 sacerdoti uccisi), i cristiani di Baghdad sono diventati bersaglio di una vera azione militari. Prima le bombe, poi i colpi di mortaio, infine il rastrellamento porta a porta. E' questa la realtà dell'Irak ch'era stato frettolosamente dichiarato libero e democratico, mentre libero dalla paura non è (prima di quelli contro i cristiani c'erano state altre stragi contro pellegrini e quartieri musulmani a Kerbala, Najaf, Bassora e nella stessa Baghdad) e democratico nemmeno, visto che a otto mesi dalle elezioni il premier sconfitto, Nur al Maliki, resterà a capo del Governo mentre il leader vincitore, Allawi, deve accontentarsi della presidenza del Parlamento.

Dentro la situazione generale dell'Irak si fa ancor più drammatica, se possibile, quella dei cristiani. La comunità aveva cominciato a ridursi già all'epoca della Guerra del Golfo, ma con la guerra del 2003 e la violenza che ne è seguita, lo stillicidio è diventato un fiume in piena. Da circa 1 milione i cristiani si sono ridotti a meno di 500 mila, con grossi insediamenti in Siria e Giordania. Quelli che sono rimasti hanno provato a concentrarsi nella regione di Mosul, dove peraltro affondano le radici del cristianesimo iracheno: da lì, nell'ottavo secolo, quando il Paese era già stato sommerso dall'onda in espansione dell'islam, erano partiti i missionari che avrebbero cristianizzato parte dell'Asia e persino del Giappone. In quelo stesso Nord che era la loro culla, però, i cristiani sono finiti nella morsa del contrasto tra i curdi e gli arabi per il controllo delle regioni petrolifere e degli oleodotti che portano verso la Turchia. Le cronache dei rapimenti, delle uccisioni, delle minacce di questi anni è nota a tutti.

A Baghdad, dopo le incredibili violenze del 2003-2006, la situazione sembrava essersi stabilizzata. Certo, il numero dei cristiani era stato drasticamente ridotto dagli spostamenti interni (verso il Nord, appunto) e dall'emigrazione, passando da 450 mila a 150 mila persone. Fino a poco tempo fa, però, nessuno avrebbe pituto prevedere una simile campagna di violenza organizzata. Dopo la strage nella chiesa di Nostra Signora, Al Qaeda aveva proclamato che i cristiani erano "obiettivi legittimi" nella campagna del terrore. Ma si respirava comunque un pizzico di maggiore ottimismo.

Quanto è successo in pochi giorni riporta la situazione indietro di mesi, forse di anni. Resta difficile, tra l'altro, distinguere la violenza a sfondo etnico e religioso da quella della criminalità comune, gli attentati di Al Qaeda dalle rapine e dalle estorsioni. Spesso le sparatorie servono a ottenere l'abbandono di una casa, di un negozio, di un'attività, e non è difficile mascherarle da azioni politiche.

Il premier Nur al Maliki, ieri, ha solennemente chiesto ai cristiani iracheni di non lasciare il Paese e si è impegnato ad agire affinché "il mazzo di fiori delle comunità irachene rimanga completo e unito”. Sarà difficile che i cristiani gli credano. L'esperienza del suo primo Governo non è incoraggiante, in questo senso. E su tutto aleggia l'articolo 2 della Costituzione. Quello che proclama "illeggittima" qualunque legge dello Stato che sia in contrasto con la shar'ia, la legge islamica.

Fulvio Scaglione
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