IOR e trasparenza, la storia vera

Il giudizio positivo di Moneyval non si basa su decisioni dell'altro ieri ma è il frutto di un processo avviato oltre vent'anni fa. Eccone la storia vera.

05/07/2012
L'ex presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi (Ansa).
L'ex presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi (Ansa).

Un passato che non passa, con due scandali ingombranti. Quello legato al crack dell’Ambrosiano e alla gestione Marcinkus negli anni ’80. E quello relativo al riciclaggio di parte della tangente Enimont nel 1992 da parte del prelato Donato De Bonis (poi allontanato, anzi promoveatur ut amoveatur, cappellano dei Cavalieri di Malta).


Tutto questo (insieme ad altri scandali inerenti a operazioni di sospetto riciclaggio sulla quale la magistratura italiana sta indagando) continua ad alimentare l'immagine dello IOR come quella di una banca a metà tra un Paradiso fiscale e una lavanderia di denaro sporco, portata avanti da gran parte della stampa nazionale e internazionale. O, nelle intepretazioni più benevole, di un istituto molto restio ai processi internazionali di trasparenza e di legalità. Agli scandali veri si continuano ad incollare leggende inventate. La letteratura "noir" sullo IOR, soprattutto di marca anglosassone, è oceanica. Al punto che c'è chi si è chiesto (come il consigliere svizzero degli anni '90 De Veck, membro della commissione vaticana sulle responsabilità dello IOR nel crack dell'Ambrosiano) se non fosse il caso di cambiarne almeno il nome. Anche la vicenda del brusco defenestramento del presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi, viene letta (e strumentalizzata) in questa prospettiva e in questo contesto.

Con i suoi provvedimenti portati avanti durante la sua presidenza, Gotti Tedeschi è stato dipinto come il primo e unico moralizzatore, una sorta di cavaliere bianco, di angelo approdato nel torrione di Niccolò V, sede dell’istituto, deciso a sconfiggere i demoni della illegalità e cacciato per fermare il suo processo di trasparenza. Non sappiamo quanto Gotti Tedeschi ci abbia messo del suo per esaltare e avvalorare quest'immagine, insistere sulla necessità di trasparenza e far emergere la sua fama di attore del cambiamento. Un atteggiamento peraltro legittimo, di cui può essere stato convinto intimamente, ma che forse può non essere piaciuto alla segreteria di Stato e al consiglio di sovrintendenza dell'istituto. Noi ci limitiamo a riferire un episodio curioso, (se comprovato, perchè abbiamo solo la versione di uno dei due protagonisti dell'aneddoto), raccontato da Gianluigi Nuzzi, durante la presentazione del suo libro Sua Santità (il volume che pubblica gli ormai celeberrimi documenti vaticani, tra cui molte lettere indirizzate al Papa) alla libreria milanese Feltrinelli di Piazza Piemonte, giovedì 7 giugno.

Nuzzi ha raccontato di aver incontrato un giorno, per caso, Gotti Tedeschi (i due, ha spiegato lo stesso giornalista, si conoscono e si danno del tu) su un volo Roma-Milano e di averci fatto quattro chiacchiere. “Il professore”, come lo chiama Nuzzi, gli avrebbe annunciato che in Vaticano erano state costruite due nuove celle (in una delle quali, ironia della sorte, finirà il maggiordomo del Papa, accusato di essere il corvo). “E sai perché le abbiamo costruite?”, gli chiede Gotti Tedeschi nel racconto di Nuzzi, “Per mettere dentro gli eventuali dipendenti o dirigenti che sgarrano con le leggi antiriciclaggio”.   

Ad ogni modo, contrariamente a quanto si è detto e scritto, il livello raggiunto dall'Istituto per le Opere di Religione, (che ha lo scopo di far fruttare al meglio le risorse finanziarie della Chiesa universale ovvero diocesi, parrocchie, congregazioni etc, affinché provvedano alla loro missione) fin da prima dell’arrivo di Gotti Tedeschi era già piuttosto consistente e superiore a molte banche internazionali. Durante il ventennio della presidenza di Angelo Caloia, il banchiere del Mediocredito Lombardo cresciuto alla scuola del cardinale Martini e chiamato allo IOR dal segretario di Stato Casaroli, l’istituto si era dotato di una nuova governance: un nuovo statuto, limiti tra organi decisionali e struttura organizzativa per evitare “conflitti di interessi”, il divieto di maneggiare somme superiori a un certo limite previa l’autorizzazione del consiglio di sovrintendenza e della presidenza, l’informatizzazione di tutte le operazioni (anche per garantirne la tracciabilità), una gestione il più possibile collegiale e sempre controllata per evitare altri "casi de Bonis" (le cui vicende sono state rivelate in Vaticano Spa da Nuzzi), la “doppia firma” per le operazioni più delicate, che dovevano essere sempre condotte da almeno due dirigenti corresponsabili. Caloia aveva scelto il basso profilo (in vent'anni mai un'intervista né sua né dei consiglieri) e intanto lavorava per lo sviluppo e la trasparenza finanziaria e istituzionale dell'istituto.

Era stato anche introdotto il protocollo internazionale “Know your customer” (KYC) che impone di conoscere l’identità, la performance, la solvibilità, le potenzialità, la provenienza del capitale e altri dati sensibili di chi entra in contatto con l’istituto. E soprattutto, i bilanci dell'istituto erano stati sottoposti ai tignosi revisori della Price Waterhouse and Cooper di Ginevra. In questo solco e in questo contesto, dopo l’uscita di scena di Caloia, nel 2006, vanno letti gli ulteriori passi di adeguamento agli standard internazionali. Come la nuova legge 127 sulla trasparenza varata nel 2011. La legge era stata emanata dopo che l'istituto era stato pressato dalla procura di Roma per due movimentazioni di circa 26 milioni di euro complessivi, poi dissequestrati (l'indagine rimane aperta). Dopo il sequestro Gotti Tedeschi si presentò spontaneamente davanti ai magistrati (anziché richiedere la rogatoria internazionale, essendo lo IOR un ente vaticano). C'è chi sostiene, dentro le mura leonine, che qualcuno lo indusse a quel passo. Fatto sta che a posteriori quella decisione fu ritenuta avventata. Comunque la riscrittura della legge 127, nel gennaio 2012, rendeva la Santa Sede conforme alle regole internazionali di antiriciclaggio. Il decreto era stato approvato a firma del presidente del Governatorato, il cardinale Giuseppe Bertello. In essa viene rafforzata la natura “coercitiva” delle disposizioni dell’AIF, l’autorità di vigilanza interna presieduta dal cardinale Attlio Nicora. Tra le disposizioni, l'obbligo di scambio di informazioni finanziarie in base a protocolli di intesa.

    Va detto che la legge 127 riprende in toto, quasi un "copia e incolla", l’analoga normativa italiana, per apportarne modifiche in senso ancor più restrittivo. E così si arriva al responso favorevole dei consulenti di Moneyval, l’organo del Consiglio d’Europa che si occupa della valutazione dei sistemi di aniriciclaggio. Un responso, come abbiamo visto, che probabilmente porterà il Vaticano nella White List degli Stati virtuosi in materia di trasparenza. Ma che non si basa su iniziative nate l’altro ieri, come la stampa laicista o manettara tende a rappresentare, per la gioia di chi vorrebbe assoggettare lo IOR alla tassazione dello Stato italiano. Cosa che, a fasi alterne, ha sempre tentato di fare, fin dal 1870, nonostante due Concordati.

Francesco Anfossi
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